TRAVAGLI DEMOCRATICI

Pd, un congresso controvoglia

Domani l'assemblea del partito potrebbe dare il via libera alle sole assise regionali. In Piemonte, però, sinistra e renziani frenano: "Rischiamo il flop". Una guerra fratricida tra i signori delle tessere proprio alla vigilia delle urne

Congresso sì, congresso no, congresso boh. Domani l’assemblea del Pd stabilirà le tappe con cui arrivare a una riorganizzazione nella cabina di comando, ma a meno di 24 ore dall’appuntamento regna il caos. I maggiorenti si consultano freneticamente per trovare una sintesi, nella desolazione degli iscritti che nella canicola di questo inizio luglio assistono a un partito congelato ormai da quattro mesi e gli stessi delegati che si chiedono se abbia senso o meno perdere una giornata a Roma se poi va a finire come l’ultima volta, quando le correnti, tutte insieme, hanno deciso di non decidere e rimandare tutto di un mese. C’è chi chiede primarie in autunno per rilanciare subito una proposta politica alternativa a quella del governo carioca, chi una fase di transizione da affidare a Maurizio Martina attraverso un voto dell’assemblea. Chi ha la fregola, chi temporeggia. Falchi e colombe. Il risultato è la paralisi. L’attuale reggente, puntellato tra gli altri da quel Piero Fassino che si considera suo mentore e scopritore, respinge l’ipotesi di un mandato con data di scadenza e vuole uscire dall’assemblea con un mandato pieno. Intanto Nicola Zingaretti è ormai in campo, Matteo Richetti, Carlo Calenda e Roberto Giachetti ci stanno pensando, Graziano Delrio ha già detto no grazie e Matteo Renzi non sa che fare, soprattutto dopo che ha fatto testare da un’agenzia di sondaggi un suo eventuale partito e il risultato è stato tutt’altro che lusinghiero. Massimi sistemi e bassa cucina si mischiano in un partito quasi scomparso dal dibattito pubblico in cui gli uomini dell’organizzazione hanno il terrore che con questo andazzo non ci sia neanche il numero legale in assemblea per approvare un documento, per non parlare della possibilità di nuove contestazioni dalle periferie.

Un orientamento che si sta consolidando in queste ore prevede di mandare avanti i partiti regionali: primarie tra ottobre e dicembre anche a costo di slegarle dal confronto nazionale, in attesa che al Nazareno ci si chiarisca un po’ le idee. In Piemonte, fino a qualche settimana fa, non solo questa prospettiva era osservata con favore, ma anzi era in assoluto il percorso su cui (quasi) tutti premevano. Oggi il vento sembra cambiato. Meglio aspettare, sussurrano a mezza bocca i capi locali. Il rischio più temuto è quello di un clamoroso flop: “Ma chi ci viene ai gazebo per eleggere il segretario del Pd piemontese” si chiede il deputato Andrea Giorgis, esponente della sinistra cuperliana, che preme, assieme ai compagni dell’area Orlando per un rinvio. “Quali piattaforme politiche – prosegue Giorgis – si contenderanno la leadership in Piemonte? Quali diverse visioni se non conosciamo il perimetro entro cui si svolgerà il dibattito nazionale?”. Il rischio è che si risolva tutto in una guerra fratricida tra signori delle tessere e delle preferenze: un orizzonte tutt’altro che rassicurante. Così la pensa anche Sergio Chiamparino, impegnato nella sua doppia veste di reggente e governatore a chiudere il suo mandato e contemporaneamente costruire un'ampia coalizione attorno a due o tre punti politici chiari, primo fra tutti la Tav, in vista delle prossime regionali.

Nell’ultima direzione provinciale il coordinatore degli orlandiani torinesi Giorgio Ardito ha presentato un ordine del giorno per chiedere di rimandare il congresso regionale qualora non fosse collegato con quello nazionale, ma la proposta è stata respinta senza neanche una discussione, provocando un alterco culminato con l’abbandono polemico della sala del presidente dell’assemblea Domenico Cerabona. Non solo la sinistra del partito è convinta della necessità di prendere tempo. Anche i renziani della prima ora, guidati da Davide Gariglio sono della stessa idea, tanto da imporre a Giuliana Manica la “sconvoca” della direzione regionale che avrebbe dovuto ratificare la data del 28 ottobre per il prossimo congresso. Tutto sospeso. Meglio attendere cosa accadrà a Roma domani e poi fare un passaggio politico con il comitato di reggenza. Allungare il brodo. Prendere tempo. Tirare a campare per evitare l'andreottiana alternativa, quella di tirare le cuoia. Ora, però, è il Nazareno a imporre la conta e a questo punto sembra difficile tirarsi indietro.

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