RETROSCENA

Dopo Appendino il nulla

Mentre c'è chi sogna una "spallata" in grado di far cadere anticipatamente sindaca e maggioranza grillina, nel centrosinistra iniziano le manovre di aspiranti alla successione: Lo Russo, Fregolent e Marino. Il notaio Ganelli novello Salza

La vera forza di Chiara Appendino è la debolezza dei suoi avversari. Anzi, l’assenza di una credibile alternativa al suo scombiccherato governo grillino costituisce la polizza sulla vita politica della giovane sindaca. E così, sebbene qualche esponente dell’opposizione non abbia del tutto accantonato la possibilità di una “spallata” in grado di disarcionare la prima cittadina, la convinzione ormai ampiamente diffusa è che una simile eventualità potrebbe realizzarsi solo per implosione della maggioranza pentastellata, per autocombustione interna alimentata da contraddizioni sempre più inconciliabili, al punto da “costringere” Appendino a gettare la spugna. Lo si è visto nella vicenda della candidatura olimpica ed è facilmente prevedibile che la cosa possa ripetersi su altre questioni nodali, dagli assetti di giunta alle scelte amministrative. Certo, a rendere accidentato e insidioso il proseguimento del mandato c’è lo scoglio della Corte dei Conti (che, a settembre, dovrà esprimersi sul piano finanziario) e la celebrazione dei processi che in autunno vedranno la sindaca trascorrere più tempo a Palazzo di giustizia che a Palazzo civico. Ma anche in questi casi, tutto (o quasi) dipenderà dalla volontà di Appendino piuttosto che dall’azione dei gruppi di minoranza della Sala Rossa.

Tutto ciò non toglie che la costruzione di una prospettiva per la successione sia un’esigenza avvertita in larghi strati delle forze politiche, in particolare nel centrosinistra, e che più d’uno stia industriandosi per renderla concreta. Senza perdere ulteriore tempo, giacché il tempo è spesso puntuale nel far capire molte cose in ritardo. È ancora fresco il ricordo delle titubanze che avevano preceduto la decisione, per alcuni versi “spintanea”, che portò Piero Fassino a tentare il bis del suo mandato da sindaco. E, probabilmente, anche questa memoria, insieme a calcoli più ragionati che contemplano altre elezioni prima della comunali (a partire dalle regionali del prossimo anno), contribuisce a guardare con ampio anticipo verso Palazzo di Città da parte di più di un politico del partito che a Torino ha subito una della prime e più dolorose sconfitte.

Tre anni sono lunghi, gli inciampi di Appendino sono nel novero delle probabilità, ma nel Pd si guarda al calendario non considerando poi così lontano il 2021. Poi, naturalmente, c’è chi non fa mistero di puntare a succedere alla Appendino – tra l’altro non più ricandidabile a meno di un cambio del non-statuto grillino che attualmente glielo impedirebbe, ma fors’anche perché già sembrano apparirle faticosi i prossimi tre – e chi, invece si prepara senza scoprire troppo le carte.

Ai primi appartiene, senza dubbio, Stefano Lo Russo. Che il capogruppo del Pd studi da sindaco non è un mistero. Preparato, un’esperienza amministrativa solida passata per un assessorato di peso come quello all’Urbanistica, in grado tra l’altro di mettere in contatto con ambienti di rilievo della città, Lo Russo non è un caso che abbia già detto e ripetuto che lui alle regionali dell’anno prossimo non si candiderà, anche se le richieste in tale senso non sono mancate. Il più determinato e puntuto anti-Appendino, dall’opposizione prepara il suo percorso verso la guida della maggioranza, anche se tra le non poche doti è difficile potergli riconoscere una naturale empatia. Per i più perfidi (anche nel suo partito) è saccente, professorale, antipatico, tout court. Il suo ghigno “satanico” stampato sul suo volto, sempre a detta di chi “gli vuol bene” non è certo il massimo per i selfie dai quali sfugge come un vampiro dall’aglio, lasciando campo libero a Chiara – come successo in una delle ultime occasioni in cui si è trovato insieme alla sindaca. Non che ci fosse la fila per farsi una foto in strada con Fassino, si dirà. Appunto.

Approccio più friendly, corroborato da un deciso cambiamento di look e, si mormora, dai suggerimenti di una società di comunicazione, per un’altra figura che potrebbe affacciarsi al momento opportuno per la corsa verso Palazzo di Città: la renzianissima (in questo caso non più assoluto valore aggiunto come un tempo) Silvia Fregolent. Riconfermata alla Camera con una posizione blindata in lista, l’ex vicecapogruppo a Montecitorio, da tempo non fa passare un giorno senza esternare con note e lanci di agenzia le sue critiche alla sindaca. Un’opposizione dai banchi parlamentari senza eguali. Osservare la possibile crescita degli attacchi alla Appendino come si guarderebbe a un barometro per capire se i rumors di una possibile futura candidatura a sindaco troveranno conferma. Per lei difficile immaginare un Sergio Chiamparino pancia a terra, così come i precedenti elettorali non attestano un enorme bacino di consenso (fu silurata nelle urne di Circoscrizione). Però è donna, è giovane, in Parlamento si è messa in evidenza, è puntualmente agguerrita contro l’attuale prima cittadina e tutto questo non guasta affatto.

Come non guasta buttare un occhio alla legislatura appena incominciata e che se anche durasse cinque anni, sarebbe comunque già la quinta per Mauro Maria Marino, in Parlamento dal luglio del 2004 e, prima in quel Palazzo Civico dove più d’uno dice che potrebbe (voler) tornare, per occupare la poltrona più importante. Presidente della commissione Finanze di Palazzo Madama nella scorsa legislatura (uno di quei posti che richiedono capacità, ma offrono aperture di relazioni in mondi che contano), vice di Pier Ferdinando Casini in quella di inchiesta sulle banche cui molti riconducono la sua blindatura alla Camera per volontà di Maria Elena Boschi. Provenienza bindiana, primi passi nei consigli di circoscrizione, poi il salto in Comune e una voce nel curriculum politico che mai come in questo periodo potrebbe risultare a sinistra un titolo di merito: l’essere stato tra i promotori di quell’Alleanza per Torino che portò Valentino Castellani a fare il sindaco, aprendo una stagione nuova. Cinquantacinque anni, renziano di sguincio, ma senza mai esagerare, facendo uso accorto di un certo understatement sabaudo applicato alle logiche correntizie, il senatore potrebbe proprio guardare al suo futuro torinese forte di quel passato cui oggi il centrosinistra vede un’esperienza ripetibile.

Tant’è che nella fumosa società civile, sempre invocata quando i partiti sono in crisi (ora come allora) c’è addirittura chi aspira a essere l’Enrico Salza del terzo millennio, un Salza gagàAndrea Ganelli, notaio "di sistema" che ha rilevato il prestigioso studio Marocco e la cui passione per la politica lo ha portato a interpretarla non già in un ruolo da protagonista, bensì di regista, da tempo è anfitrione di cene “trasversali” e per questo ancor più degne di attenzione per cercare di capire la trama. In una delle ultime erano attovagliati, tra gli altri, Lo Russo, l’assessora regionale alla Cultura Antonella Parigi, il costruttore Stefano Ponchia, l'ad di Fop Paolo Tenna e il commercialista Luca Piovano, questi due storici sodali del predecessore della Parigi, Michele Coppola, passato a dirigere le attività culturali di Intesa Sanpaolo, la banca frutto della fusione di cui fu artefice Salza. Regista nella finanza e nella politica, con molti aspiranti allievi. Ma, per ora, senza nessun erede all’orizzonte.E il film sul futuro candidato sindaco del centrosinistra, pur già con aspiranti guest star e comparse, è ancora di scrivere. Prima ancora di girare. 

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