FATTI & MISFATTI

Torino capitale dell’antisionismo

Ancora una volta il capoluogo piemontese si distingue nell’ostracismo a Israele. Dopo le lezioni a senso unico all’Università, il Consiglio comunale approva un documento contro il “paese occupante” e a favore dell'attacco palestinese di Hamas

Il Consiglio comunale di Torino riscrive la storia con un ordine del giorno su “Gaza” in cui si schiera “contro le politiche di occupazione israeliane” e definisce “pacifiche” le manifestazioni dei mesi scorsi culminate con scontri a fuoco lungo il confine tra Palestina e Israele. Il documento, presentato da Eleonora Artesio (Sinistra in Comune) e Daniela Albano (M5s), è passato con i voti a favore della maggioranza pentastellata, della stessa Artesio, di Francesco Tresso (Lista Civica per Torino) e di due esponenti Pd, l’ex vicesindaco Elide Tise e Monica Canalis. Unico contrario il leghista Fabrizio Ricca, che in un articolato intervento smonta pezzo per pezzo quanto riportato nell’ordine del giorno. Una posizione ambigua, quella del gruppo dem: quasi tutti i consiglieri al momento del voto sono fuori dall’aula, compresi il capogruppo Stefano Lo Russo e Piero Fassino; restano in Sala Rossa solo Tisi e Canalis che si esprimono favorevolmente “a causa di un malinteso e di un difetto di comunicazione” afferma successivamente Lo Russo, secondo il quale “nel testo approvato vengono espresse considerazioni su Israele che non possono essere condivise e che non rappresentano la nostra posizione politica”.

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I promotori del documento - in cui si chiede, tra le oltre cose,  “che la comunità internazionale si adoperi per far assumere a Israele le proprie responsabilità in quanto Paese occupante” - esprimono “profonda preoccupazione per il ripetersi di gravi episodi di repressione per l’uso smisurato della forza da parte dell’esercito israeliano contro la popolazione civile palestinese, in particolare nella Striscia di Gaza” e arrivano a chiedere “un’indagine internazionale” assieme a “misure per proteggere la popolazione civile”. Il riferimento è a quanto accaduto dallo scorso marzo fino al 14 maggio, giorno in cui è stata inaugurata l'ambasciata americana a Gerusalemme e 70° anniversario di quello che per gli arabi è il Giorno della Nakba (Catastrofe), cioè la nascita dello Stato d'Israele.

Un dispositivo piuttosto sbilanciato su posizioni palestinesi e nettamente partigiano in molti passaggi. Sulla natura “pacifica” di manifestazioni organizzate lungo il confine, per esempio, ci sarebbe molto da dire. “Il luogo in cui sono avvenuti gli scontri – spiega il professor Ugo Volli, ordinario di Semiotica all’Università di Torino ed esponente di spicco della comunità ebraica in Italia – è un confine di stato riconosciuto dall’Unione Europea, insomma una frontiera. Hamas ha convocato manifestazioni di massa in una zona pericolosa con l’obiettivo esplicito di sfondare quella barriera, oltre la quale, a pochi chilometri ci sono insediamenti di civili israeliani”. In quelle manifestazioni, inoltre “è documentata la presenza di miliziani di Hamas, colpiti solo quando hanno tentato di sfondare il confine. Sono loro, per il 90 per cento, i caduti di questi scontri”. Insomma, secondo i resoconti ufficiali si sarebbe trattato di un vero e proprio atto ostile nei confronti di Israele. I cecchini hanno difeso la frontiera.

Nel documento si censura la decisione degli Stati Uniti di trasferire la propria ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme e pure la decisione degli organizzatori del Giro d’Italia di far partire proprio da Israele la kermesse ciclistica. Ricca in Sala Rossa ha aggiunto: “Nel gennaio 2006, in seguito al successo elettorale di Hamas, Stati Uniti, Russia, Onu ed Europa hanno dichiarato che per continuare a ricevere aiuti umanitari, Hamas avrebbe dovuto riconoscere lo Stato di Israele e bloccare l’attività terroristica. Condizioni respinte al punto che gli aiuti sono stati interrotti nel 2006”. Per il professor Volli, triestino ebreo, che tra l'altro collabora con le riviste Pagine Ebraiche e Shalom, questo ordine del giorno “è figlio di una cultura vagamente internazionalista e terzomondista che predilige una visione ideologica dei fatti avulsa dalla realtà”. Una narrazione che “alimenta l'antisemitismo”.

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