TRAVAGLI DEMOCRATICI

"Assurdo rinunciare al simbolo Pd"

Per quanto usurato, il brand del partito democratico deve essere presente sulla scheda delle Regionali. Il sondaggista Noto spiega le ragioni tattiche e di marketing politico ma anche di contenuto: "Deve uscire dalla depressione e rilanciarsi"

“Non ci sono vie di mezzo. O c’è un riposizionamento del Partito Democratico, oppure si decide di mandare tutto a quel paese. Ma se ci sarà ancora un Pd a livello nazionale, allora sarebbe assurdo che alle regionali si rinunciasse al simbolo. Di per sé sarebbe già il messaggio della sconfitta”. Per ora il Pd c’è, anche se “in uno stato di profonda depressione” come certifica Antonio Noto, il sociologo che di fronte a un paziente grave “che fino al 4 marzo si è rifiutato di riconoscere la sua malattia” è costretto a stilare una cartella clinica anziché uno dei suoi sondaggi. E, anche, sconsigliare decisamente quella che per qualcuno all’interno del partito piemontese parrebbe essere una possibile terapia preventiva per evitare il peggio tra meno di una anno: presentarsi ai cittadini rinunciando a un brand ormai non più elettoralmente pagante, ripiegando su un simbolo nuovo in grado di aggregare, magari sotto le vesti civiche, altre parti della sinistra e distrarre l’attenzione da quello attuale ormai sinonimo di sconfitta.

Si tratta di un’eventualità remota, di pensieri in libertà vigilata, ma che oltre a dare ulteriore senso di smarrimento semmai attuata rischierebbe,come sostiene il sondaggista ma non solo lui (a bocciare immediatamente per la stessa ragione questa ipotesi è, tra i primi, il leader dei Moderati, Giacomo Portas), un effetto domino anche sulle concomitanti elezioni europee. Però non basta dire che ci sarà, il Pd. “Deve uscire dalla depressione, anche se oggi non vedo segni in tale senso. Dovrebbe tornare ad essere un attore principale nel teatro della politica, ma in questo momento è completamente inerme, non è arrivato nemmeno arrivato alla fase della riflessione” sostiene Noto, a poche ore da un incontro al quale parteciperà (insieme al collega sociologo Mauro Magatti) e dove, forse, un inizio di riflessione ci sarà.

“Destra e sinistra davanti al sovranismo” è il tema del convegno promosso dal gruppo del Pd alla Camera che si terrà oggi pomeriggio a Baveno, sul lago Maggiore, in quella provincia del Verbano-Cusio-Ossola che potrebbe passare, come proposto in un prossimo referendum, alla Lombardia voltando le spalle al Piemonte. Un Piemonte che finirà, non certo di sguincio, nella discussione su come il Pd deve cercare di “smetterla di affrontare i temi, partendo da quello della segreteria regionale per arrivare a quello del candidato alla presidenza della Regione, rimanendo fermo sui nomi senza guardare ai temi, ma anzi invertendo quest’ordine”, come sostiene Enrico Borghi, il deputato che ha organizzato l’incontro.

C’è chi vede, anche per via della presenza del capogruppo alla Camera, in questa giornata un profilarsi di una corrente (o qualcosa di simile) riferita a Graziano Delrio, il quale ancora non ha sciolto le riserve davanti alle proposte di candidarsi alla segreteria, propendendo più per il no che per il sì. Figura, quella dell’ex ministro, cui sembra guardare con molta attenzione (e, chissà, fors’anche qualche speranza) un altro dei partecipanti al convegno: Sergio Chiamparino. Si parlerà del futuro del Pd, guardando (si spera) senza troppe remore al recente passato, ma lo si farà anche con lo sguardo alla regione, con e senza la maiuscola: il territorio con i suoi problemi che non sempre, talvolta poco o nulla, l’ente di governo è riuscito a risolvere.

Cifre pesanti che ancora non sono riuscite a superare del tutto l’impatto del 2009, come quelle di cui si discuterà anche con l’ex parlamentare e ricercatrice dell’Ires, Cristina Bargero autrice del saggio Il Piemonte oltre la crisi. E altri numeri che toccano più nel profondo il partito: quelli delle più recenti elezioni amministrative che hanno lasciato sul terreno, come vittime di una battaglia perduta in partenza, città come Ivrea e Orbassano, ad allungare una lista già non certo breve.

Non tanto quanto la “traversata del deserto” che attende il Pd come dice l’ex sottosegretario Luigi Bobba e che per Borghi “impone il comprendere fino in fondo il messaggio che ci è  arrivato dalle urne che con le elezioni politiche del 4 marzo e con le successive amministrative, configurando la nascita di un nuovo polo sovranista-nazionalista imperniato attorno alla Lega di Salvini e al Movimento 5 Stelle”.

Una coalizione di governo che, aldilà delle rassicurazioni continuamente fornite dalla Lega al resto del centrodestra, in primis Forza Italia, resta tra le eventualità per le regionali del prossimo anno. “Se il Governo tiene bene fino ai primi mesi dell’anno, si potrebbe avere una ricaduta anche sulle Regioni” osserva Noto. Il primo esperimento non è detto non arrivi già a novembre con la Basilicata possibile laboratorio giallo-verde. E sdoganamento utile a Salvini per riconquistare il Piemonte, insieme ai grillini e non con Forza Italia. Con un Pd che non si sa se nel frattempo avrà superato la depressione, dopo aver negato a se stesso di essere malato.

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