CINQUE CERCHI

I Giochi sono (s)fatti

La delibera di sostegno alla candidatura di Torino passa con una maggioranza risicata. Defezioni tra i grillini, mentre le opposizioni si astengono. Lo Russo (Pd): "Un suicidio". Fallita la mediazione tentata in extremis da Appendino: "Sono orgogliosa"

Ventidue voti a favore, uno contrario e otto astenuti. Così si chiude quello che per Chiara Appendino è stato un “percorso in cui ogni giorno abbiamo fatto un passo in avanti” per consentire a Torino di formalizzare “una candidatura di cui sono orgogliosa”, mentre per il capogruppo dem Stefano Lo Russo è una “penosa vicenda politica” che si conclude con vero e proprio “suicidio”. Quello che dice la delibera è che il capoluogo piemontese sarà, almeno da un punto di vista formale, in corsa per ospitare le Olimpiadi del 2026, ma restano le divisioni interne alla maggioranza che hanno portato due consigliere grilline – Daniela Albano e Marina Pollicino – a disertare la seduta per motivi politici (Aldo Curatella, invece, era assente per lavoro). Il Coni voleva una delibera che certificasse un consenso “ampio e incondizionato”, Torino risponde con un provvedimento pieno di vincoli e paletti che passa sul filo di lana. Le modifiche varate attraverso due emendamenti presentati dalla sindaca appaiono come la classica toppa che è peggio del buco e così la sua mano tesa viene accolta solo da Roberto Rosso, mentre si astengono Pd, Silvio Magliano (Moderati), Francesco Tresso (Lista Civica), Eleonora Artesio (Sinistra in Comune) e Alberto Morano. Scontato il voto contrario dell’ex grillina Deborah Montalbano. Il vicepresidente della Sala Rossa Enzo Lavolta (Pd) per evitare di manifestare un dissenso aperto nei confronti del proprio gruppo  - "avrei votato sì" - ha preferito abbandonare l'aula. Assenti Fabrizio Ricca (Lega) e Osvaldo Napoli (Forza Italia) che con una lettera hanno garantito il proprio sostegno a Torino. Profondamente diversa la situazione a Milano nel cui consiglio a Palazzo Marino si stava svolgendo in contemporanea la medesima discussione: alla fine su 38 votanti ben 36 sono stati i voti a favore (due soli astenuti e un consigliere, Basilio Rizzo della sinistra, è uscito dall'aula).

In Sala Rossa le facce sono tese. In quella che ormai è diventata su entrambi i fronti una partita a scacchi e soprattutto allo scaricabarile di fronte a una designazione che si allontana giorno dopo giorno, Appendino ha chiesto alle minoranze un atto di responsabilità attraverso un voto favorevole in aula. “Facciamoci vedere uniti, abbiamo ancora delle possibilità” ha detto la prima cittadina questa mattina durante l’incontro con i capigruppo di opposizione, illustrando gli emendamenti al testo che intendeva portare in aula e che poi sono stati approvati e cioè il coinvolgimento del governo nell’analisi costi-benefici e una chiusura più soft nei confronti di possibili sinergie con le altre città candidate ma che di fatto non cambiava la sostanza delle cose.

Il vero nodo resta la commissione d’inchiesta su Torino 2006 che nei giorni in cui il capoluogo accetta di correre per tornare “Olimpico”, di fatto mette sotto processo (politico) gli organizzatori dell’edizione passata, quella per intendersi, grazie alla quale oggi la Città può contare su un sistema impiantistico che le consentirebbe di varare un dossier low cost, suo vero punto di forza. “I due provvedimenti – ha spiegato chiaramente la sindaca – sono separati e non collegabili tra loro”. Dunque, nessuna concessione alle minoranze. D’altronde è evidente a tutti che quell’atto, promosso dai pentastellati più ostili ai Cinque Cerchi, è il prezzo che la sindaca deve pagare per avere il loro voto alla candidatura.

A nulla sono valsi gli appelli piovuti durante tutta la mattinata da Unione Industriale, Cna, Confesercenti a un voto unitario, lasciando da parte “questioni di principio”. Il Pd avrebbe potuto votare a favore togliendo alla sindaca ogni alibi, a fronte di una probabile esclusione di Torino, ma ha preferito astenersi. Per contro Appendino avrebbe potuto quantomeno chiedere ai suoi di riformulare la natura di quella commissione - “di approfondimento” piuttosto che “d’inchiesta” - ma non lo ha fatto. E anche quel che è accaduto oggi in aula è sintomatico della debolezza di Torino, non solo di fronte alla candidatura olimpica. L’opposizione ha parlato di una prima cittadina “ostaggio della sua maggioranza” e anche questo è innegabile ed è una delle ragioni per cui mai Giovanni Malagò si fiderà di lei (basti pensare che lo stesso consigliere che oggi chiede il processo a Torino 2006, Damiano Carretto, nei mesi scorsi è arrivato a chiedere le dimissioni del numero uno del Coni), un modo “per dire prima di iniziare a giocare che l’arbitro è un cornuto” sintetizza il consigliere Tresso. Mentre Magliano, dei Moderati, ha ricordato alla sindaca come “in Città Metropolitana c’era stato un atto votato da tutti e anche qui ci saremmo potuti arrivare”. “State cercando scuse” risponde nel suo stentoreo intervento conclusivo la grillina Valentina Sganga. Torino non ha ancora perso la sua partita che già è iniziato lo scaricabarile.