CINQUE CERCHI

Il Coni difende il dossier olimpico:
"Si può aggiustare non stravolgere"

Torino 2006 è stata una grande edizione ma il Cio difficilmente avrebbe voluto il bis a distanza di vent’anni. La proposta di Malagò un compromesso tra diverse istanze. Ma Appendino e Chiamparino restano critici (così come Sala). La palla al governo

Non saranno certo le “tavole di Mosè” come chiarisce un esponente altolocato del Coni (e del Cio), ma certo lo studio di fattibilità approvato ieri dal Consiglio nazionale per la candidatura italiana alle Olimpiadi invernali del 2026, poggia su una serie di valutazioni di cui il governo dovrà fare tesoro. Nel giorno in cui Chiara Appendino e Sergio Chiamparino tornano a esprimere forti perplessità su come è stata delineata la proposta dei Giochi delle Alpi, dal Foro Italico si difende una scelta che “indubbiamente tiene conto di criteri territoriali, finanziari e sportivi”. Mai come in questa occasione le pressioni politiche sono state fortissime ed esercitate in particolare da Lega (che da una parte sosteneva il Veneto di Luca Zaia, con Cortina, e dall'altra Milano per rafforzare il governatore Attilio Fontana) e M5s, compattamente schierato dalla parte di Torino e di Appendino. Milano, inoltre, era stata la prima scelta di Giovanni Malagò e per questo si comprende la delusione delle ultime ore manifestata dal sindaco dem Beppe Sala. La sensazione è che certamente qualche aggiustamento sarà ancora consentito, ma si sbaglia di grosso chi pensa di poter stravolgerne l’impianto poiché non è detto che, se il progetto definitivo non soddisferà innanzitutto il Coni, possa essere proprio Malagò a sfilarsi, facendo saltare la candidatura italiana.

A destare stupore a Roma sono in particolare le recriminazioni di chi, come Chiamparino, al netto della gaffe sull’inesistenza di una pista da bob a Cortina (maldestramente tamponata con una dichiarazione odierna), sostiene migliore per quella disciplina la sede di Cesana. Il problema, fanno notare da Palazzo H, è che risistemare con i soldi del contribuente (“perché, sia chiaro, il contributo del Cio è per le sole spese di gestione”) un impianto che ha la prospettiva di essere smantellato subito dopo l’evento olimpico (è appunto il caso di Cesana) risulterebbe “quantomeno stravagante”. Più astuta è stata Cortina che, quantomeno per un discorso di legacy, ha prospettato il riutilizzo della pista a scopo turistico. Ci riuscirà? Chissà. Il governatore del Piemonte è tornato oggi sulla questione bob mettendo in dubbio i costi ipotizzati per la riqualificazione del sito delle Dolomiti, di fatto gli stessi ipotizzati dagli estensori del dossier torinese per Cesana: “Mi chiedo però come possa un impianto costruito più di 60 anni fa essere ammodernato con la stessa spesa necessaria per adeguare un impianto, quello di Cesana, costruito 12 anni fa e che costò più di cento milioni. Forse, a questo punto, visto che il Governo va forte con le analisi costi/benefici, sarebbe utile che ne predisponesse una su tutti i dossier presentati, in modo che li si possa valutare con criteri trasparenti e omogenei”.

Di certo c’è che a Torino l’atmosfera è di chi è appena stato scippato. Appendino conferma le sue “perplessità” e spera in qualche ritocco di un governo che certo è un po’ più amico di quanto si è rivelato il Coni. “La nostra soluzione, oltre a essere la più vantaggiosa da un punto di vista finanziario consente a tutti e tre i poli olimpici di avere visibilità dal primo all’ultimo giorno. Per questo, nonostante lo sci alpino fosse stato pensato a Cortina, abbiamo staccato lo slalom che si svolge negli ultimi due giorni della kermesse e che dal punto di vista tecnico rappresenta un’eccellenza riconosciuta da tecnici e atleti”.

Da queste poche indicazioni emerge come in questi ultimi giorni Malagò abbia fatto l'equilibrista, cercando comporre una proposta organica che tenesse conto delle richieste del governo, della politica, dei territori interessati e pure del Cio, che alla fine, è l’organismo cui spetta la decisione finale. Quel che è emerso, alla fine, è che il vero atout dal punto di vista impiantistico, Torino non lo avesse nelle valli, con il bob e i trampolini, quanto piuttosto in città. È l’Oval il palazzo imprescindibile per tenere in piedi questa proposta, l’unica pista al coperto in Italia per il pattinaggio su pista lunga, la disciplina, per capirsi, in cui 12 anni fa trionfò l’azzurro Enrico Fabris. E che oggi è una delle tre – insieme all’hockey maschile e allo sci alpino – finita in Piemonte.

Secondo il nostro interlocutore – che in una fase così delicata chiede di rimanere anonimo – “Torino ha dalla sua parte l’ottima impressione fatta nel 2006, che allo stesso tempo diventa anche una zavorra se si pensa che l’ultima volta che i Giochi invernali si sono svolte in Europa sono state proprio quelle di Torino. Non è il massimo per un movimento, quello olimpico, che tende all’universalità. Anche per questo Malagò ha voluto puntare su una proposta più ampia, diversa”. Che sia quella più forte, però, è tutto da vedere: “Oggi Stoccolma è molto competitiva: la Svezia è una delle nazioni con maggiore tradizione negli sport invernali, senza aver mai avuto la possibilità di organizzarle. Noi però dobbiamo esserci quando si deciderà e poi che vinca il migliore”.  

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