Alternativa a tavolino

Quando c’è una maggioranza di governo politicamente forte, anche se disomogenea, di norma dall’opposizione si lavora per creare una alternativa politica e programmatica. Di norma, però. Per non riandare alle vicende della prima repubblica, ormai troppo lontana e troppo diversa dalle costanti della politica contemporanea, è appena sufficiente ricordare che durante gli anni dell’onnipotenza berlusconiana, le forze del centrosinistra, cioè l’Ulivo, diede vita ad una alternativa politica, culturale e programmatica che lo portò al governo nell’arco di pochi anni. Oggi, di tutto ciò, non c’è neanche l’ombra. Tutti i principali commentatori e osservatori delle cose politiche italiane concordano sul fatto che attualmente nel nostro paese non c’è affatto una competizione politica reale. E ciò per tre ordini di ragioni, sostanzialmente.

Innanzitutto il principale partito del centrosinistra, ovvero il Pd, non è più percepito come una sigla politica capace di creare una alternativa al pentaleghismo oggi o al centrodestra domani. Un partito senza un leader, anche se l’ex capo Renzi continua a comandare. Un partito senza una linea politica definita dove fa notizia, almeno sui grandi organi di informazione televisivi e della carta stampata, per l’eterna guerra fra le decine di correnti interne e la cronica contrapposizione tra i renziani e gli anti renziani. E quindi un partito senza una precisa bussola politica.

In secondo luogo non c’è una coalizione. Dopo aver predicato per anni la cosiddetta “vocazione maggioritaria” del partito e, soprattutto, dopo aver distrutto nella stagione renziana ogni forma di alleanza con altri soggetti politici, oggi il centrosinistra, di fatto, non esiste. Accanto ad un Pd in costante e progressiva discesa, ci sono liste e sigle inventate a tavolino che non possono produrre alcun effetto elettorale significativo. Come, del resto, capita puntualmente dal 2015 con le svariate batoste elettorali in cui è incappato il centro sinistra, dal Trentino alla Sicilia. Referendum compresi.

In terzo luogo manca, com’è del tutto evidente, un leader carismatico e soprattutto unitivo. Certo, Renzi - che resta, comunque sia, un vero leader politico - ha fatto tabula rasa dei potenziali leader che potevano apparire all’orizzonte e ha creato le condizioni, attraverso il suo stile e il suo metodo, per un progressivo isolamento del Pd, e quindi di tutto ciò che resta della coalizione, seppur virtuale, del centrosinistra.

Ecco, queste tre condizioni - per fermarsi alle ragioni politiche principali - sono all’origine della crisi del centrosinistra e, di conseguenza, di una vera e credibile alternativa all’attuale maggioranza di governo gialloverde. Ed ecco perché, forse, è giunto anche il momento per ristrutturare radicalmente questo “campo politico” archiviando definitivamente ciò che ha caratterizzato questa lunga stagione renziana. Ma questo è un altro discorso. Un processo, comunque sia, necessario, per evitare di proseguire a discutere di una alternativa politica del tutto virtuale e costruita solo a tavolino.

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