VERSO IL 2019

"Il Pd vada oltre la cinta daziaria"

Non c'è solo "l'altro Piemonte" a chiedere maggiore attenzione. A contestare il "Torinocentrismo" sono pure i territori dell'hinterland e della provincia. Avetta: "Una questione che va affrontata al congresso e alle prossime regionali"

“Prendiamo il Canavese, fino a qualche anno fa vantava una Cisl autonoma, Confindustria c’è ancora ma è in via di riorganizzazione con l’Unione Industriale di Torino e anche i partiti, come i Ds avevano una loro federazione non coincidente con quella del capoluogo, mentre la Margherita aveva tenuto distinta la segreteria provinciale da quella cittadina”. È nostalgia di una sorta di indipendenza di una (gran) parte della provincia dalla metropoli quella che sembra venire fuori dai ricordi neppure troppo lontani e da scenari assai prossimi nelle parole di Alberto Avetta? Presidente di Anci Piemonte, sindaco di Cossano Canavese, già numero due in Provincia e poi in Città Metropolitana, l’avvocato piddino di origine popolare attinge a ruoli presenti e passati per dire che no, non è tanto questione di rimpiangere guardando all’indietro quanto piuttosto “prendere atto di una situazione e tenerne conto per il futuro”. Perché il presente, quello di cui si discute in questo approssimarsi delle elezioni regionali citando sempre più spesso la distanza tra Torino e il resto del Piemonte, racconta anche di una sorta di terra di confine che come spesso accade ondeggia tra il sentirsi parte dello Stato cui appartiene e viene attratta da quello a cui finisce col sentirsi più vicina.

“Il tema del rapporto tra Torino e il resto del mondo piemontese esiste e va oltre anche la tradizionale distinzione amministrativa tra Piemonte 1 e Piemonte 2” sostiene Avetta citando anch’egli quella sintetica, ma efficace divisione figlia del Mattarellum. “Politicamente, e forse non solo, ci sono molte più affinità tra alcuni territori della provincia di Torino, penso al Canavese, ma anche al Chivassese alla vasta area che ha come riferimento Pinerolo, con le province confinanti e quindi con il già citato Piemonte 2 che non con l’area metropolitana alla quale, peraltro, appartengono”. Basterebbe ricordare un non lontanissimo passato in cui si immaginò un passaggio del Canavese alla Provincia di Biella.

Parla di “tante città di medie dimensioni, fino a comuni piccolissimi che faticano a dialogare con Torino”, il presidente dell’Anci che osserva come “questo modello si riflette anche nelle forme democratiche e tradizionali di rappresentanza e quindi in tutti i corpi intermedi, dalle associazioni di categoria, ai sindacati, ai partiti”.

Non ci sono, dunque solo i due Piemonti battezzati dalla divisione delle circoscrizioni elettorali e figli non riconosciuti di un Torinocentrismo sempre più indicato, da chi vive nel resto della regione, come uno dei mali da curare. C’è anche una quella provincia torinese che torinese appieno non sente di essere, né di essere considerata. Un ingresso se non a piedi giunti, certamente inatteso, quello dell’esponente Pd in un dibattito che anima proprio il suo partito sia per quanto riguarda la futura scelta del segretario regionale con spinte “provinciali” sempre più forti contro la tradizione (e l’egemonia) torinese, sia per quanto attiene alla proposta da offrire agli elettori la primavera prossima.

E non è fuori tema un’altra osservazione che Avetta mette sul tavolo: “Le appartenenze e provenienze culturali che da sempre caratterizzano e spesso schematizzano la politica torinese sono molto più sfumate via via che ci si allontana dal capoluogo e dall’area metropolitana. Qui, come in gran parte della regione, assumono maggiore rilievo le questioni territoriali rispetto ad altre sensibilità”. Per dirla più schiettamente: “La sensazione è che a Torino si ragioni più per correnti di pensiero e che nel resto del Piemonte ci si concentri, comprensibilmente, più sulla rappresentanza territoriale”. Chi sta dalla parte sbagliata?

“Non c’è un modello giusto e uno sbagliato: ci sono due approcci talvolta diversi che bisogna conoscere e saper riconoscere cercando un punto di equilibrio che attenui le criticità e valorizzi le potenzialità di ognuno, superando, laddove ci fosse, quel senso di autosufficienza che divide anziché unire. Di certo, chiunque avrà l’onore di guidare il Pd nei prossimi mesi dovrà confrontarsi con queste contraddizioni e saperle interpretare”. Per Avetta “il tema dei due Piemonti, al quale non è certo semplice spettatrice, bensì protagonista interessata una gran parte del territorio della Città Metropolitana, non potrà che essere al centro della discussione e della successiva proposta ai cittadini per le elezioni regionali del prossimo anno”.

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