Quel ricambio difficile

Quando si parla di classe dirigente, o meglio del ricambio della classe dirigente politica, il dibattito finisce sempre in caciara. Mi scuso per il termine poco elegante ma la sostanza, purtroppo, è questa. E mi spiego meglio. L’ex segretario del Pd, Renzi, che ha conquistato e comandato il partito in virtù del dogma della “rottamazione” ha finito per candidare anche allegri e veterani settantenni alle ultime elezioni parlamentari perché, in quel momento, fedeli esecutori della sua linea politica. Al punto che lo stesso Renzi oggi sostiene che è stato “troppo poco rottamatore”. Altri, come ad esempio Salvini con la sua Lega, la rottamazione non l’hanno predicata ma l’hanno praticata. È appena sufficiente verificare come ha rinnovato profondamente i suoi gruppi parlamentari alle recenti elezioni del 4 marzo per rendersene conto.

Ma, al di là degli slogan, il problema è sempre lo stesso e si ripete puntualmente ad ogni stagione politica. E cioè, va costruito un mix tra esperienza e competenza da salvaguardare con un indispensabile e necessario ricambio generazionale. Purché il tutto non si riduca al principio intoccabile e salvifico della carta di identità, come il più delle volte avviene.

Ora, coniugare questo mix tra innovazione e conservazione, ovvero tra esperienza e ricambio, è sempre facile dirlo ma è terribilmente complicato praticarlo. E questo perché sono molti gli ingredienti che si inseriscono nel dibattito politico concreto di ogni partito quando si scelgono le candidature: dalla competenza specifica al radicamento territoriale, dalla esperienza al ricambio generazionale, dal peso che il singolo vanta nel partito agli interessi – legittimi, come ovvio – che rappresenta nella società, dalla espressività sociale e culturale del singolo alla rappresentanza delle varie correnti e tribù all’interno del partito. Ossia, si tratta di saper costruire un mix che richiede pazienza, prudenza, intelligenza e senso di responsabilità.

Ora, per fermarsi alle prossime elezioni regionali piemontesi e nello specifico al campo dell’ex centrosinistra, credo sia abbastanza evidente – anche se in politica è sempre tutto possibile e tutto opinabile, come ovvio – che la ricandidatura a presidente di Sergio Chiamparino sia del tutto scontata. Per una serie di motivi che sarebbe addirittura inutile ricordare: dalla competenza specifica all’esperienza accumulata, dal radicamento sociale al gradimento personale e via discorrendo. Anche se ha superato brillantemente i 70 anni, anche se è in politica da quasi 50 anni, e anche se è presente nelle istituzioni da oltre 30 anni. Ma quale sarebbe una alternativa politica credibile a Chiamparino? In sostanza, una sola: la carta di identità. E torniamo alle argomentazioni che sviluppavo all’inizio. E cioè, la buona politica, almeno a mio parere, continua ad essere quella che è capace di legare in un disegno politico complessivo l’innovazione con la conservazione. E questo per evitare che, appunto, si parte con la parola d’ordine della “rottamazione” e poi si finisce per ricandidare in Parlamento veterani d’antan per poi pentirsi qualche settimana dopo. Confido che questa volta in Piemonte prevalgano i criteri politici della “buona politica” e non solo quelli dei soliti e persin troppo conosciuti e collaudati slogan propagandistici. Che poi, come tutti sanno, sono sempre e solo operazioni gattopardesche.

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