La vendetta di Casalino

Le parole di Rocco Casalino, portavoce del presidente del Consiglio, in cui minacciava i tecnici del ministero dell’economia di vendetta se non avessero trovato 10 miliardi per il reddito di cittadinanza sono state da tutti condannate, ma mettono in luce alcuni aspetti della politica dei 5 Stelle e dell’organizzazione statale. Da un lato è evidente lo scollamento dalla realtà degli esponenti e forse anche degli elettori del movimento grillino e dall’altro la loro visione giacobina della politica. Come i loro progenitori francesi che usavano la ghigliottina per risolvere ogni problema, così i grillini quando non riescono a trovare una soluzione ai problemi cercano un capro espiatorio e minacciano sfaceli. Così per il crollo del ponte si è data la colpa ai Benetton senza aspettare indagini e perizie e così per il reddito di cittadinanza si scarica la colpa sui tecnici del ministero.

Da un altro punto di vista le minacciose parole del portavoce del governo evidenziano come la crescita abnorme della macchina statale abbia spostato nei fatti il potere dai politici ai dirigenti statali, novelli mandarini che hanno in pugno le vere leve del potere statale. La spesa pubblica italiana supera gli 800 miliardi annuali e 10 miliardi non sembrano una cifra impossibile da trovare rappresentando poco più dell’1% della spesa complessiva. I tentativi dei passati governi di tagliare la spesa pubblica sono stati fallimentari e non solo per poca determinazione politica, ma per le resistenze degli alti burocrati. L’interesse dei dirigenti pubblici è quello di avere sempre più risorse per poter aumentare se non lo stipendio, il proprio prestigio e potere. A chi non fa piacere essere vezzeggiati dal fornitore di turno per avere una commessa? Senza supporre altri più sostanziosi scambi.

Un tabù che ha messo in luce Casalino è l’inamovibilità dei dipendenti pubblici. Sfrondando le truci parole del portavoce del presidente del consiglio, non sarebbe normale che dei dipendenti incapaci possano essere licenziati? Se un ministro, che teoricamente rappresenta il popolo, non può fidarsi dei dipendenti del ministero non dovrebbe avere la possibilità di licenziarli, almeno a livello di dirigenza? Non possiamo non notare che l’attuale governo si trova nei ministeri uomini e organizzazione del precedente governo che si può ragionevolmente supporre non siano “entusiasti” dell’attuale situazione. È già successo, per esempio, con il governo Berlusconi che la macchina statale si sia messa di traverso per ostacolare le varie iniziative intraprese.

Sarebbe necessario togliere il velo di ipocrisia che fa supporre che l’organizzazione statale sia neutra e fare come negli Stati Uniti d’America in cui un severo spoils system permette un ricambio dell’alta dirigenza senza tanti problemi ad ogni cambio di presidente.

Riforma ancora più necessaria e chissà se scontrandosi con la dura realtà lo capiranno anche i 5 Stelle, sarebbe la riduzione del “mandarinato”, ma ciò presuppone una decisa riduzione della spesa pubblica, del numero di leggi in vigore, della burocrazia e del numero di dipendenti pubblici. Ma un movimento politico che desidera aumentare il deficit e considera lo stato la soluzione di ogni problema, potrà rendersi conto che l’unica strada percorribile è l’esatto contrario di ciò che predica?

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