Poltroni in poltrona

Gli eletti nelle istituzioni non hanno vincolo di mandato e rappresentano tutto il popolo, come sancito dalla Costituzione. Durante la campagna elettorale gli stessi si rivolgono all’intera comunità: cittadini a cui parlano pazientemente per poter conquistare i voti utili alla proclamazione parlamentare.

I candidati alle elezioni solitamente percorrono strade, mercati, piazze, specialmente nel mese antecedente alla votazione, prestando attenzione a tutti e trovando una parola di conforto per qualsiasi possibile sostenitore che incrociano durante i loro lunghi pellegrinaggi propagandistici.

Coloro che anelano a ricoprire la carica di deputato, oppure di consigliere regionale, si dedicano anima e corpo anche nel convocare presso la propria sede elettorale i casi umani più disagiati, promettendo loro un netto miglioramento delle condizioni sociali grazie a un provvidenziale intervento nel caso di vittoria sancita dalle urne. I candidati trovano le parole giuste per confortare lo sventurato, per dare un supporto morale a una madre senza lavoro oppure a un padre che disperato non sa più cosa fare per mantenere la prole.

Appena l’ex aspirante parlamentare prende possesso dello scranno designato questo idilliaco quadro fatto di comprensione e slancio umanitario verso i problemi del sottoproletariato, delle persone comuni, di colpo si dissolve lasciando al suo posto uno spietato cinismo che si manifesta in un attacco profondo e radicale a chiunque patisca la disoccupazione o l’inattività lavorativa. Come soggetti affetti da schizofrenia, alcuni politici cambiano volto così da indicare quegli stessi sventurati, a cui prima dedicavano ascolto, con termini feroci e biasimo.

Guardando ai passati governi è facile imbattersi in Ministri molto altezzosi, e un poco arroganti, che facevano a gara per insultare i giovani in cerca di occupazione. Il termine più simpatico, se così si può definire, è stato il “Bamboccioni” riferito dall’allora ministro Tommaso Padoan Schioppa a studenti che contestavano la sua opera di governo. Concetto poi ripreso sia dal ministro Poletti, il quale addirittura si felicitava per coloro che erano andati in cerca di lavoro all’estero, nonché dalla nota Fornero che additava con disprezzo chi viveva con “mamma e papà”.

L’elenco degli epiteti poco gradevoli indirizzati dai ministri della Repubblica ai loro giovani concittadini, che avrebbero dovuto rappresentare, è davvero lungo quanto vergognoso nonché destinato a reiterarsi nel tempo. In questi giorni, infatti, l’arroganza di potere sembra aver toccato il proprio apogeo.

Il contrasto al reddito di cittadinanza proposto dal governo “Giallo-verde” passa ancora una volta soprattutto attraverso l’insulto indirizzato ai cittadini (di questo passo tra non molto sudditi): invettive dirette agli strati più deboli della popolazione ritenuti un insieme di “persone che si sdraiano sul divano, senza voglia di fare alcuna cosa e di cercare lavoro”.

La nota più strabiliante di tali gaffe istituzionali consiste nel rilevare come i peggiori insulti diretti alla popolazione giungono dalle fila di un partito che dovrebbe rappresentare i settori fragili della società. Un partito, quello Democratico, che dimentica sistematicamente la povertà accusando l’assistenzialismo quale causa di tutti i disagi poiché fabbrica di poltroni che “non hanno voglia di far niente e attendono solo la legge sul reddito”.

Una visione alquanto curiosa del sussidio in oggetto e che al contempo rischia di mettere in discussione tutti gli ammortizzatori sociali, compresi quelli a sostegno delle vittime delle ristrutturazioni aziendali o dei licenziati per delocalizzazione produttiva in Paesi esteri.

L’avvicinamento politico del Pd al presidente francese Macron è indice di una deriva ideologica senza ritorno. Un’indubbia alleanza da crisi identitaria con il leader che dall’Eliseo ha avviato una prima fase di privatizzazione, radendo contemporaneamente al suolo i diritti dei lavoratori delle ferrovie, mostrandosi inoltre assolutamente incurante del grave scandalo che recentemente ha colpito la sua più intima guardia del corpo (Benalla).

Coloro che paragonano Di Maio a Peron forse sopravvalutano il nostro ministro al Lavoro, ma di certo ancora una volta sembrano non voler notare l’assenza in Italia di una Sinistra nonché la deriva dei democratici verso lidi sempre più destrosi e antipopolari: pertinenti ai poteri economici e finanziari europei.

La morale insegnata è sempre la stessa da anni. Essere figli dei leader di governo, siano essi espressione del Centrodestra come del Centrosinistra, è certamente una garanzia sia per accedere al mondo del lavoro che per la corposa consistenza delle conseguenti buste paga. Un raro privilegio che ad esempio non riguarda neppure la base dei partiti al potere, i cui appartenenti sono costretti ad emigrare in terre straniere per poter trovare un lavoro (a conferma basta dare un’occhiata a quanto avviene tra alcuni giovani militanti piddini torinesi). Una situazione di agio da discendenza, di memoria ancien regime, che stride tremendamente con le misure che gli stessi premier hanno varato a danno di giovani e meno giovani non garantiti.

È facile indossare vestiti firmati e insultare chi non può neppure permettersi una pizza al mese con gli amici, mentre i propri figlioletti sono tutelati tramite percorsi lavorativi protetti quanto esclusivi. La precarietà ha quasi azzerato l’occupazione stabile gettando intere generazioni nel calderone dello sfruttamento, mentre per alcuni l’occupazione è un favore concesso da quegli stessi che danno del poltrone a chi hanno escluso.

Il concetto di “Poltrone” è davvero ambiguo: è “Poltrone” chi guarda la tv su divano dopo aver percorso mezza città in cerca di lavoro, oppure chi ringrazia papi per il ruolo dirigenziale ben pagato trovato con una telefonata agli amici che contano. Al lettore l’ardua sentenza.

print_icon