TRAVAGLI DEMOCRATICI

La carica dei 101 per Calenda

Parte da Torino l’appello all’ex ministro per invitarlo a prendere in mano il centrosinistra a partire dalle Europee. Politici, professionisti, imprenditori: “Andare oltre il Pd per creare un fronte da Leu ai Radicali”. Ma lo stato maggiore dem guarda con diffidenza

Sono bastati pochi giorni a Pino De Michele, ipercinetica figura di quella sinistra “civica” torinese, per raggranellare centouno firme in calce a un appello rivolto a Carlo Calenda, che oggi è a Torino per presentare il suo libro-manifesto Orizzonti selvaggi. Capire la paura e ritrovare il coraggio. Agenda fitta: prima nel quartier generale del partito, in via Masserano, poi a Chieri, al Caffè letterario, assieme ai lavoratori della Embraco, azienda salvata dalla chiusura in uno dei suoi ultimi tavoli al Mise, e infine di nuovo nel capoluogo, al Circolo dei lettori. Proprio nel suo primo appuntamento avverrà il confronto con chi gli chiede un impegno, sin da subito, per rimettere insieme i cocci di un centrosinistra uscito a pezzi dal ciclone renziano e in balia di un governo che è riuscito a silenziare l’opposizione parlamentare.  

“Riteniamo che la Sua voce possa imporsi nel dibattito pubblico, sempre più chiassoso e inconcludente, con la forza della ragione, della competenza. Crediamo che Lei in prima persona possa rappresentare questa speranza e Le assicuriamo, fin da ora, il nostro appoggio e il nostro contributo” scrivono i 101 tra cui compaiono, oltre a De Michele - primo segretario della Margherita dopo essere stato tra gli animatori di Alleanza per Torino, negli anni di Valentino Castellani sindaco - Maria Borrello, docente di Filosofia del Diritto alla facoltà di Giurisprudenza, Marco Cavaletto, ex direttore della Regione Piemonte, l’ex consigliere comunale Enzo Branciforte, Marco Camoletto, senior economist in Compagnia di San Paolo già presidente di Amiat, l’ex parlamentare e leader dei Ds di Torino Alberto Nigra, l’architetto e imprenditore Federico De Giuli, l’ecologista Pier Luigi Cavalchini e ancora Fulvio Giani, presidente della Fondazione Ordine degli Ingegneri, Piera Levi Montalcini, già consigliera comunale a Torino, nipote del Nobel di medicina, e altri tra professionisti, docenti universitari, imprenditori, amministratori, ma anche funzionari pubblici, impiegati e pensionati. Un movimento d’ispirazione civica, pronto ad andare oltre gli attuali schemi e contorni di un centrosinistra logorato dal potere e distrutto dalla sua perdita.  

Ma cosa vogliono effettivamente da Calenda? “Gli chiediamo di stare all’interno di un vero centrosinistra e di essere il vero promotore, assieme a Paolo Gentiloni, di un rassemblement che sappia includere le componenti più progressiste e quelle d’ispirazione liberale”. Insomma, di un fronte contro i populisti, quello che già in passato l’ex ministro, un tempo renziano, aveva prospettato all’indomani della sua iscrizione al Pd (o forse direttamente alla sua segreteria, come fece notare qualcuno, non senza un pizzico di perfidia). Che Calenda non sia un iscritto come gli altri lo dimostra il seguito che continua ad avere soprattutto tra chi aveva sostenuto Renzi e oggi fatica a trovare spazio nella sfida congressuale tra Marco Minniti e Nicola Zingaretti.

Sulla questione De Michele si è già confrontato con alcuni dirigenti del partito e ha pure avuto un battibecco con Magda Negri – ex parlamentare e storicamente legata all’ala migliorista del Pci e dei suoi eredi – che lo ha accusato senza mezzi termini di dare spago a chi vuole costruire un nuovo partito. I 101, tra cui non manca qualche militante del Pd, arrivano ad auspicare che “già dalle prossime europee si possano superare gli attuali simboli e le divisioni che hanno contraddistinto questa stagione per formare un unico cartello aperto alla società civile e una nuova carta dei valori” spiega De Michele. Una proposta che difficilmente farà breccia nello stato maggiore democratico (oggi in via Masserano ad accogliere Calenda ci sono il segretario della Federazione subalpina Mimmo Carretta e il capogruppo in Sala Rossa Stefano Lo Russo) che già in passato aveva escluso in vista della competizione elettorale la rinuncia al simbolo del Pd.

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