Che fine ha fatto la rottamazione?

All’indomani della performance televisivamente impeccabile organizzata dall’ex segretario del Pd alla Leopolda, vien da farsi una semplice domanda. Al di là dei temi pollici contingenti. E cioè, ma la rottamazione che fine ha fatto? L’ex sindaco di Firenze si era imposto all’attenzione della politica nazionale perché soprattutto voleva rottamare tutto quello che c’era prima di lui. E così ha fatto.

Certo, con le dovute e comprensibili eccezioni. Si è poi capito, ovviamente dopo, che la rottamazione veniva applicata ai nemici interni al partito mentre era sospesa per chi diventava un supporter e un tifoso del capo. L’esempio più' semplice e più eclatante riguarda due ex segretari nazionali del Pci/Pds/Ds, Massimo D'Alema e Piero Fassino. Il primo, feroce oppositore del rottamatore, è stato messo subito alla berlina ed escluso da qualsiasi ruolo ed incarico nel Pd. Il secondo, diventato meno di un lampo un convinto turbo renziano, è stato ripetutamente premiato al punto di essere ricandidato per la settima legislatura alle recenti elezioni del 4 marzo. Come si suol dire, due pesi e due misure. Ovvero, secondo l’antico adagio, “chi è con me viene premiato; e chi è contro di me viene punito”. Ma sin qui, nulla di nuovo sotto di sole. Nei “partiti personali” e nei “partiti del capo” questa è la regola. Il resto, com’è ovvio a tutti, è solo propaganda e tifoseria.

Quello che, invece, incuriosisce è capire se la rottamazione è ancora un tema valido per la selezione della classe dirigente o se era solo un espediente tattico e propagandistico per la conquista del potere. Lo dico perché il tema della selezione della classe dirigente non è una variabile indipendente ai fini della buona politica e dello stesso rinnovamento della politica italiana. A tutti i livelli. Perché proprio dalla selezione e dalla preparazione della classe dirigente si comprende la qualità di chi ci governa, tanto a livello locale quanto a livello nazionale. Ma, per tornare al tema iniziale, se la rottamazione era solo un espediente momentaneo e nulla più, allora si deve prendere atto che l’antica lezione dei leader della prima repubblica continua ad essere attuale e moderna. E cioè, la qualità, l’autorevolezza e la credibilità della classe dirigente politica ed amministrativa non dipendono solo dalla carta di identità che si esibisce di volta in volta ma dalla capacità di saper dare una risposta politica alle sfide che emergono concretamente dalla società. Se il tutto si riduce alla riproposizione dei soliti schemi persin troppo noti nelle modalità concrete dei partiti personali - e cioè gregariato, fedeltà al capo, punizione per i nemici interni e valorizzazione di tutti i tifosi e gli obbedienti - allora la tanto sbandierata novità è destinata ad essere compresa facilmente dallo stesso corpo elettorale. Certo, ci vuole un po’ di tempo ma poi tutto è chiaro. Come puntualmente è capitato anche per il renzismo, che aveva suscitato grandi attese e poi è franato come tutti abbiamo sperimentato. Ma, e per concludere, visto che l’ex segretario del Pd - o PdR, come ormai quasi tutti lo definiscono - continua ad avere, com’è ovvio e legittimo, una vasta tifoseria interna a quel partito, la domanda è quasi d’obbligo: e cioè, ma oggi la rottamazione di tutto ciò che appartiene al passato è ancora una parola d’ordine per il futuro oppure era solo un semplice acchiappavoti destinato ad esaurirsi dopo aver conquistato il potere?

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