Rivoluzione "gentile" o regime nazionalista?

Rivoluzione: sostantivo femminile, movimento organizzato, non sempre violento col quale si instaura un nuovo ordine sociale o politico. Dal latino “Revolutio”, ossia “Rovesciare”. Il termine indica qualsiasi cambiamento radicale nelle strutture comunitarie, stravolgimenti di media o lunga durata (dal Dizionario).

Il significato del vocabolo “Rivoluzione” non si presta quindi a fraintendimenti, poiché non vi sono sinonimi che ne possono inquinare la sostanza. Non è questa una parola sottoponibile neppure a interpretazioni di fantasia o manipolabile tramite posizioni politiche eccentriche.

La recente scelta compiuta da parte di alcuni esponenti governativi, consistente nell’addolcire tale termine aggiungendo al suo fianco l’aggettivo “gentile”, è senza dubbio fonte di grande confusione, un caos generato dolosamente da chi tra le fila del governo teme il potere evocativo del vocabolo stesso (Rivoluzione): ulteriore disorientamento gettato deliberatamente su una popolazione già frastornata da tempo.

La “Rivoluzione gentile” annunciata dal ministro Salvini, e poi ripresa dal vicepremier Di Maio, si annuncia essere un alibi innanzi al gioco elettorale che prima ha consegnato una grande speranza agli elettori (una forte quanto motivata aspettativa) poi seguita da una cocente delusione a causa di sogni in gran parte sbiaditi già nei primi mesi del governo Conti (in ultimo il “Sì” al gasdotto Tap).

La Rivoluzione dei Garofani portoghese fu davvero “gentile” nella sua esplosione. Insurrezione popolare che registrò il suo apice nella scelta di infilare fiori all'interno delle canne dei fucili imbracciati dai militari, ma che al contempo si comportò come un fiume in piena nel travolgere il regime e le classi dominanti che lo sostenevano.

I tumulti bolscevichi e giacobini, questi ultimi avvenuti qualche secolo prima della caduta dei Romanov per mano di Lenin, erano decisamente poco “gentili” ma determinati nel capovolgere una società dove la povertà era mutata in rabbia incontenibile, protesa ad instaurare un mondo nuovo.

Risulta quindi difficile comprendere cosa intendano gli attuali vicepremier con la frase “Rivoluzione gentile”. Il pensiero corre quindi verso paragoni a noi più vicini nel tempo, come ad esempio alle cosiddette “Rivoluzioni arancioni”, scoppiate soprattutto nei paesi dell’ex Patto di Varsavia e spesso sostenute economicamente (ma non solo) dall’Occidente.

I movimenti arancioni hanno sostituito una burocrazia preesistente con un’altra più fedele alla nuova classe politica emergente, permettendo soprattutto che magnati della finanza e nuovi boss, nati grazie ai fiorenti traffici commerciali resi possibili dall’ondata rivoluzionaria, potessero ricoprire ruoli di governo e decisionali in paesi democraticamente sfiniti.

In Ucraina la “Rivoluzione gentile” si è presto trasformata in guerra etnica, così come in Jugoslavia, dove il popolo balcanico si è polverizzato nel nome della fede religiosa e della secessione su basi di appartenenza locale.

A questo punto ecco presentarsi alla nostra attenzione un ulteriore paradosso, o meglio un grossolano errore, che spesso emerge dalle dichiarazioni di alcuni leader pentastellati: l’orazione funebre più volte recitata nei confronti di concetti ipoteticamente defunti quali Destra e Sinistra politica. Commemorazione mortuaria a cui non ha mai aderito alcun dirigente leghista, poiché le camicie verdi hanno ben chiaro cosa significhi la lotta ideologica tra Destra e Sinistra: i leghisti lavorano quotidianamente per contrapporre sempre più le due visioni del mondo e della società.

La Rivoluzione portoghese aveva radici ben salde nella Sinistra. Le sue parole d’ordine evidenziavano con forza la speranza sociale da cui orgogliosamente essa era stata generata e voluta. Al contrario le Rivoluzioni arancioni avevano anima e corpo nella Destra, di cui ne erano intrisi i valori. Rivoluzioni di comodo in cui spiccava la soggezione assoluta nei riguardi di ricchi industriali, emigrati a Ovest durante i regimi comunisti, oppure faccendieri pronti a “salvare” lo Stato nato dopo lo stravolgimento istituzionale, ma solamente nel nome delle multinazionali americane (soprattutto Coca-Cola e McDonald's).

L'immagine recente di Salvini a cavallo, ripresa durante la sua visita a Verona, ricorda terribilmente una foto scattata decenni addietro a un dittatore del Novecento in divisa militare: un uomo dalla mascella affascinante (così pensavano in molti) facente bella posa con tanto di piuma bianca fissata sul suo elmo.

Le stesse azioni governative varate sino ad oggi hanno rivoluzionato la società solamente nel colpire gli ultimi, i bersagli più facili da intercettare con successo, mentre il governo si è guardato bene dall’andare a disturbare i grandi manovratori che continuano a regnare incontrastati.

Come sempre accade nelle “Rivoluzione gentili” di Destra, individuare un nemico possibilmente diverso, rispetto alla popolazione che vota, facilita molto i lavori ministeriali nonché la distrazione generale che, più o meno volontariamente, benedice l’instaurazione di un nuovo regime.

Ad oggi non osservo disperazione sui volti di chi appartiene ai ceti dominanti, ma vedo invece una grande afflizione nello sguardo di tutti coloro che sono costantemente impegnati ad arrivare a fine mese, a sbarcare il cosiddetto lunario, e negli occhi di chi è fuggito da Paesi in guerra o dediti alla tortura degli avversari politici.

“Rivoluzione gentile” oppure “Rivoluzione neo-nazionalista”: la differenza non è rilevante poiché il nazionalismo e la gentilezza hanno sempre distrutto le classi subalterne e potenziato, addirittura armandole, quelle dominanti. Negare l’esistenza di classi sociali è sempre un primo passo verso la dittatura di quella che ha soldi e potere: questa è in sintesi la “Rivoluzione gentile”.

Al lettore comunque, ancora una volta, “l’ardua” sentenza.

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