La mucca e la pecora delle Madamin

Torino è una metropoli che suscita le simpatie di tutti gli amanti della velocità. Sulle strade del capoluogo piemontese sfrecciano infatti di continuo numerosi mezzi, dai veicoli del soccorso stradale alle car sharing passando per le biciclette dei vari servizi “food”: una caratteristica cittadina da cui potrebbe derivare la voglia di alta velocità manifestata dalle classi più agiate. 

I pesanti veicoli delle combattive carrozzerie torinesi si contendono i clienti, vittime di sinistri urbani, disseminando biglietti da visita nei condomini posti in prossimità degli incroci maggiormente pericolosi. Vicino al numero dell’officina viene indicata una raccomandazione: “In caso di incidente chiamateci. Se va bene e rimorchiamo uno degli incidentati vi riconosciamo un premio”. Un meccanismo diabolico, esempio tangibile di concorrenza spietata, da cui derivano le corse pazze dei carroattrezzi: il premio è solamente per chi arriva primo, a scapito della sicurezza viaria e dei semafori regolarmente ignorati da tutti.

Le traiettorie dei veicoli delle carrozzerie si intrecciano con quelle dei tanti piloti di auto “car sharing”, con un costante rischio di intercettazione reciproca. La tariffa per l’uso delle autovetture a noleggio per brevi periodi è parametrata ad alcune voci fisse e altre variabili, tra cui il tempo di percorrenza. Ne deriva il fatto per cui più la guida è veloce (sul modello “Formula 1”) meno si paga alla restituzione del mezzo.

Nel traffico cittadino la velocità trionfa anche grazie ai ciclisti che consegnano cibo a domicilio. Tutte le varie declinazioni dell’originale servizio “Foodora” consistono nel far pedalare alla massima velocità giovani ciclisti affinché la consegna delle ordinazioni avvenga nel minor tempo possibile. Di conseguenza i velocipedi sfrecciano ovunque: sui marciapiedi, contromano e sulle aree pedonali, mettendo a rischio l’incolumità dei passanti e dei fattorino stessi.

Soldi, costi, profitti sono gli arroganti padri della velocità a scapito delle regole di comune convivenza, delle tutele a protezione di cittadini e lavoratori. La rapidità con cui si devono concludere gli affari è forse la più genuina sintesi dello schema produttivo voluto da coloro che decidono le sorti economiche del Paese: un modello dal volto poco umano, per non dire affatto, e irrispettoso dell’ambiente circostante.    

“Il tempo è denaro”, tutto viene sottomesso a questa massima e anche il progetto del treno ad alta velocità non si sottrae da tale principio, poiché parte della cosiddetta “Crescita infelice”. Infelicità è di certo il termine maggiormente adatto per descrivere l’attuale ritorno alla catena di montaggio, già celebrata dal grande Charlie Chaplin in “Tempi moderni” (1936), dove si lavora correndo per produrre il massimo profitto a beneficio del datore di lavoro.

Una delle sette cosiddette “Madamine” organizzatrici della manifestazione di sabato 10 novembre, la famosa chiamata in piazza del “Sì per Torino”, durante un’intervista televisiva ha invitato i No Tav a intraprendere la strada personale della “Decrescita felice” comprando una mucca e una pecora: così da evitare di “rompere le scatole” a tutti gli altri piemontesi.

L’affermazione non è solamente al limite del ridicolo, poiché intrisa di qualunquismo nonché di luoghi comuni frutto di pesanti lacune culturali, ma è pure molto grave considerando quale sia la filosofia spicciola con cui sono state portate in piazza migliaia di persone. Le “Madamine” evidentemente non hanno a cuore il futuro di questo saccheggiato pianeta, e nemmeno sono turbate dall’eredità che verrà consegnata alle generazioni future, dimostrando una visione piuttosto inquietante del mondo poiché piena di ammirazione per il solo “correre”.

L’alta velocità ferroviaria della Torino-Lione è allora prioritaria, con buona pace delle Alpi così come delle falde acquifere e della salute di una Valle i cui abitanti hanno nel tempo subito mille cantieri, nel nome della logistica veloce.

Questa limitatezza di vedute racchiusa nel “si comprino una mucca e una pecora” raffigura l’ennesimo parto di un’epoca ricca di superficialità, e in cui l’apparire conta a tal punto da porre se stessi sopra la conoscenza della realtà circostante nonché al di fuori del buon senso.

È possibile creare occasioni di investimento, speculazione e occupazione senza per forza dover scavare una galleria di 53 Km in una terra così complessa e, inoltre, per un’opera sostanzialmente inutile. Attualmente coloro che si dirigono a Lione non hanno problemi a giungere in treno sino al Frejus, dove arrivano in tempi accettabili tenuto conto del tratto montano, mentre le prime difficoltà di collegamento si presentano dopo Modane, in territorio francese.

Il Tav rimane un servizio ferroviario di lusso, come concepito in Italia. Innumerevoli invece potrebbero essere le opere dedicate al rinnovamento di tratte usate da pendolari o studenti, così come molteplici le soluzioni logistiche innovative sia per l’impatto ambientale che per collegare le porzioni di territorio piemontese attualmente isolate dal resto della Regione. 

È triste rimarcare la falsità del dogma riferito al Tav quale miracoloso sostituto del traffico pesante su gomma, ed è altrettanto sconfortante il conteggio della gran quantità di piccole e grandi bugie tramite cui viene legittimata l’opera sino a renderla addirittura indispensabile. Rattrista pensare a una piazza mobilitata per difendere un progetto dalle tante ombre e ambiguità, mentre non sarebbero mancati i temi su cui i torinese avrebbero potuto far sentire la propria voce. L’agonia irreversibile dello stabilimento di Mirafiori, la chiusura della Pernigotti e il Salone del Libro perennemente in bilico dopo la cacciata di Rolando Picchioni (forse per assestare alla fiera libraria il colpo di grazia ora le Madamine propongono pure di comprarne il marchio) sono solamente alcuni esempi del disagio in cui da anni è immersa cronicamente Torino. Una riflessione quest’ultima che, se approfondita, permetterebbe la piena maturazione, ossia il passaggio da “Madamine” a cittadine torinesi: la difesa della Città anziché degli interessi di pochi “eletti”.

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