I No Tav mangiano i bambini

Sabato pomeriggio, otto dicembre, Torino è in piena fibrillazione. Un padre con la famiglia al seguito ferma il civich che devia il traffico su piazza Solferino, a causa della manifestazione in corso, e chiede preoccupato: “Ho promesso ai miei figli di portarli in piazza San Carlo per vedere l’albero di Natale luminoso. Mica ci imbatteremo nei No Tav durante il nostro cammino?”.

Qualche giorno prima si era presentata innanzi al mio sguardo incuriosito una scena simile a quella appena descritta. In un caffè del centro città una madre visibilmente agitata si lamentava con il titolare del locale: “Sabato prossimo vorrei portare i ragazzi a fare merenda da lei, ma ci saranno i No Tav in centro. Come faccio?”.

Un tempo i mangiatori di bambini per antonomasia erano i Comunisti. I “Rossi” erano noti per come cucinavano a fuoco lento i pargoletti altrui al fine di trasformarli in una rara ghiottoneria, a quanto dicevano alcuni sacerdoti ai propri fedeli durante la predica della messa domenicale. L’arrivo della modernità evidentemente ha mutato la dieta dei bolscevichi, molti dei quali sono diventati vegani oppure frequentatori di ristoranti stellati dove i menù non contemplano infanti.

Attualmente i Comunisti si nutrono soprattutto con abbondanti porzioni di fegato, il loro, ogniqualvolta si scontrano con le scellerate posizioni politiche dei propri dirigenti, mentre la dieta a base di fanciullo pare sia oramai appannaggio esclusivo dei militanti anti-treno ad alta velocità.

L’immagine del Movimento valsusino violento, vandalico e assetato di sangue è stata costruita ad arte nel tempo, e ha raggiunto il pieno successo nelle ultime settimane. In mancanza di argomenti con cui contrastare l’avversario, questi da copione diventa banalmente il nemico da demonizzare e contro cui puntare il dito: evidentemente le tesi propugnate da chi è favorevole all’opera non sono così utili a conquistare l’opinione pubblica, per cui (oramai da molto tempo) non rimane che usare la tattica “L’altro però è sporco e cattivo”.

La tecnica comunicativa adottata dai media in questi ultimi tempi è a prova di distratto: la manifestazione indetta dalle “Madamine” Sì Tav è stata fatta leggere al pubblico come la scesa in piazza della gente perbene, che una volta terminata la kermesse politica si è felicemente diretta nei ristoranti vicini a piazza Castello, per festeggiare degnamente la passeggiata di fine settimana; mentre al contrario i No Tav sono stati continuamente paragonati all’esercito di Annibale che scende su Torino per saccheggiare le case senza fare prigionieri.

Eppure in Valle, così come nel capoluogo piemontese, le grandi manifestazioni di massa contro l’alta velocità non sono mai state funestate da atti di violenza e tantomeno eversivi, a esclusione di qualche episodio di tensione verificatosi presso le barriere difensive del cantiere Tav di Chiomonte: vicende che mai hanno coinvolto gli agglomerati urbani attraversati dai cortei e dai loro numerosissimi partecipanti. Malgrado questo, rimane il luogo comune ritraente i militanti contrari alla Torino-Lione quali pericolosi lanzichenecchi pronti a depredare chiunque, oppure a prendere a schiaffi addirittura un vecchio amico (per cui davvero cattivi).

Nella realtà le persone cattive erano altrove, sabato scorso. Giovani e meno giovani hanno sfilato per via Cernaia e via Pietro Micca per difendere il bene comune per eccellenza (l’Ambiente) e non per tutelare i propri biechi interessi personali. I loro slogan erano la sintesi di un progetto, ossia di un modello sociale dal “Volto umano”, quella cosiddetta decrescita che consiste semplicemente nel mettere la parola “Fine” allo sfruttamento dei lavoratori e del pianeta. Una visione del futuro molto lontana dallo scempio profetizzato dalle cosiddette “Madamine”.

Tante persone hanno percorso il tragitto autorizzato dalla Questura tra negozi aperti, i cui proprietari non sono caduti nella trappola della paura indotta ad arte, note musicali e striscioni variopinti. Le bande musicali marciando per Torino hanno più volte intonato “Bella ciao” e molte altre canzoni popolari, rimarcando ancora la grande differenza esistente tra una manifestazione ricca di passioni vere e quelle convocate esclusivamente a consumo dei media (come avvenuto per il fronte del Sì).

In sintesi, ciò che davvero importa è il dato di almeno ottantamila persone che hanno invaso pacificamente il capoluogo subalpino, consegnando ai protagonisti della marcia dei 40.000 bis (in realtà 15.000 nell’ottobre 1980 e qualcuno in più il novembre scorso) il messaggio inequivocabile che questi non rappresentano l’intero Piemonte (come qualcuno voleva far intendere).

Le stesse prime pagine dei quotidiani cittadini hanno dovuto mettere da parte, seppur per un attimo, le dichiarazioni vittoriose dei dirigenti del Pd e della Confindustria per puntare (loro malgrado) i riflettori sul popolo che lotta per garantire un futuro alla Terra: la conferma di un successo.

A Madamina Tafazzi uno spunto di riflessione: solidarietà e rispetto delle comunità, così come dell’Ambiente, mobilitano più della difesa del cemento e della “Crescita a qualsiasi costo”.   

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