VERSO IL 2019

Chiamparino ancora il più popolare, Forza Italia non trova lo sfidante

Neppure il sondaggio "segreto" scioglie il rebus sul candidato presidente della Regione. L'unico a superare, nei testa a testa, l'attuale governatore è il fratello d'Italia Crosetto. Sotto Costa e Cirio, non pervenuto Zangrillo. Esclusa dal test la Porchietto

Forza Italia va alla guerra, dei numeri. E i primi colpi sono quelli del fuoco amico. Più impegnati a guardarsi le spalle che a vedere di trovare lo sfidante giusto da opporre a Sergio Chiamparino, gli azzurri mostrano una strategia che, quando c’è, pare improntata a battagliare tra di loro anziché contro l’avversario che di questo clima non può che giovarsi, continuando ad accrescere il proprio consenso.

Anche il recentissimo sondaggio ampiamente annunciato dallo Spiffero e puerilmente negato anche di fronte all’evidenza da più di un maggiorente azzurro, anche quando il lavoro affidato ad Alessandra Ghisleri era ormai compiuto, conferma come a fronte della popolarità dell’attuale presidente della Regione, il partito di Silvio Berlusconi non abbia ancora trovato il competitor giusto. O forse non lo vuole cercare davvero, superando veti e invidie da ballatoio affollato di comari e compari, i cui rumori e soprattutto le conseguenze irritano sempre più il Cav. Berlusconi, per dire l’aria che tira, non ha per nulla nascosto la sua sorpresa nello scoprire non tanto chi è stato testato dal sondaggio, ma non di meno chi ne è stato lasciato fuori.

Se oltre all’europarlamentare Alberto Cirio, al deputato ed ex ministro Enrico Costa e al coordinatore regionale Paolo Zangrillo, deputato e fratello del medico personale di Silvio, è stato aggiunto nel test sulla popolarità anche il fratello d’Italia Guido Crosetto, con il risultato di vedere lui svettare in fatto di gradimento sugli altri tre, tra i nomi proposti al campione di piemontesi non c’era quello dell’altra aspirante a sfidare Chiamparino, ovvero Claudia Porchietto.

Di quell’assenza, per nulla strana guardando al fuoco di sbarramento cui da mesi la deputata è oggetto da una parte dei suoi, avrebbe chiesto conto Berlusconi. Lo ha fatto anche e soprattutto tenendo in debito conto quei messaggi e quei segnali che da tempo sta ricevendo dal mondo delle imprese e delle professioni piemontese, di cui Porchietto è parte e conosce meglio di moltissimi altri, preoccupato di trovarsi qualche sorpresa nient’affatto gradita e soprattutto non in grado di interpretare istanze che mai come in questi mesi forti e chiare sono arrivate proprio dal Piemonte, cassa di risonanza di gran parte del Paese e certamente del Nord. Un’assenza, quella della deputata con un passato, come Cirio, da assessore regionale che troverebbe se non unica ragione, ma certo un solido appoggio, in quella faida rosa in casa azzurra su cui aleggia la figura dell’onnipresente in quel di Arcore e Palazzo Grazioli Licia Ronzulli.

Detto questo, va aggiunto pure che il sondaggio della Ghisleri ha verificato soltanto la popolarità dei nomi proposti, senza alcun riferimento a coalizioni e ad altri elementi per nulla trascurabili in vista delle regionali. Sta di fatto che a sovrastare, non solo fisicamente, i tre forzisti è il gigante di Marene, l’unico che al contrario degli altri va ripetendo da tempo di non ambire affatto a guidare la sua Regione, anzi ribadisce la sua indisponibilità, suffragata secondo una delle tante letture anche dall’aver ripresentato le sue dimissioni da parlamentare dopo averle viste, come da prassi, respingere la prima volta.

Secondo nella classifica di popolarità, anche per il cognome che porta e che rimanda alla figura paterna, l’ex ministro Costa, tornato nelle fila berlusconiane dopo la non breve parentesi alfaniana (e di governo, sia con Renzi, sia pur non fino alla fine con Gentiloni), seguito a ruota da colui che vanta innumerevoli endorsement – incominciando da quello del presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani – e viatici per la scalata al palazzo di piazza Castello. Una posizione, quella di Cirio, che non inficia le sue chance per la candidatura, certamente non quanto potrebbero farlo eventuali sviluppi, a lui sfavorevoli, dell’inchiesta su rimborsopoli. L’eurodeputato ha già annunciato che non si candiderebbe nel caso di un suo rinvio a giudizio, dicendosi peraltro convinto che questa circostanza non si verificherà.

Nessuna sorpresa per l’appeal prossimo allo zero di Zangrillo, arrivato a Montecitorio (come capolista) e alla guida del partito in Piemonte come, qual è, fratello del medico personale del Cav. Parentela preziosissima per quei posti, ma non certo in grado di far breccia nel potenziale elettorato, anzi. Era un Carneade nel mondo Fiat e tale è oggi nella politica piemontese, in barba ai galloni ricevuti per meriti familiari. La sua presenza nel ristretto novero dei testati, tuttavia, la dice lunga su ambizioni che paiono a dir poco sfrenate. E non commisurate alla battaglia per le regionali, guardata a distanza dai generali dell’armata più forte e organizzata.

“Per adesso teniamo il sacchetto dei popcorn in mano” dice un colonnello della Lega, descrivendo plasticamente la situazione. E smentendo quelle voci ricorrenti di un Salvini pronto a dare la zampata indicando lui l’avversario di Chiamparino. Il Carroccio non ha nessun interesse a farlo, soprattutto in questa fase. Come alla grandi manovre, dalla Lega si guarda col binocolo il campo di battaglia. E spunta più di un sorriso vedendo tra gli alleati chi si sgambetta nell’assalto e si spara pure nei piedi. Col Chiampa che arrampica sulla collinetta, a passo sempre più lesto, nonostante pure lui debba fare i conti con le mine su cui un giorno sì e l'altro pure salta il Pd.

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