Statisti da Bar sport

Il governo di un territorio, Stato o comune esso sia, si riassume in una sommatoria di atti politici e amministrativi che si pongono l’obiettivo (condivisibile o meno) di migliorare la qualità della vita collettiva, di realizzare le speranze della popolazione (più realisticamente della classe dominante).

Rappresentare le Istituzioni invece significa dare un volto, consegnare una concretezza, fornire tangibilità all’assetto democratico: passare quindi dall’enunciato astratto costituzionale alla materializzazione fisica dei concetti posti a fondamento dello Stato. In sintesi vuol dire accettare una responsabilità, che risulta essere molto più impegnativa del “semplice” governare nel nome di una comunità.

Essere l’immagine della Repubblica non si riassume tristemente in una questione di abbinamento tra giacca e cravatta, ma con l’autorevolezza e la credibilità di coloro che incarnano l’intero ordinamento disegnato dalla Carta fondamentale.

Durante i passati decenni i ruoli istituzionali sono stati personificati da individui carichi di una palpabile passione mista alla consapevolezza dei propri solenni doveri, primo tra tutti quello di dover misurare ogni parola poiché qualsiasi esternazione pubblica, a contatto con i cittadini, sempre si trasforma in dichiarazione fatta propria dalle massime autorità statali.

I leader eletti nel secondo dopoguerra erano dotati di considerevole capacità di eloquio, valorizzata ancor più dal vestire prestigiosi panni di statista. Probabilmente gli spettatori di Tribuna Politica erano consci della vicinanza alla mafia, o ai responsabili delle stragi di Stato, di molti tra coloro che parlavano attraverso le telecamere per conquistare consensi. Il candidato di turno intervistato da un incalzante Ugo Zatterin poteva infatti essere un corrotto, come un insabbiatore di prove nel nome del “Segreto di Stato”, ma era innanzitutto uno statista (seppur odorante di zolfo).

Al contrario, l’attuale devastata classe politica è ovunque carente sia di esperienza che di capacità. Le elezioni oramai esprimono costantemente parlamentari afflitti da gravi patologie narcisiste e leader inconsistenti poiché convinti di essere seduti al bar dello Sport a parlare del più e del meno con i propri amici, anziché agire sulle leve di comando dell’intero Paese.   

In tale disperato contesto tutti i gravi problemi nazionali diventano ridicole scenette comiche, così come sovente le dichiarazioni ufficiali si convertono in enormi gaffe grazie alla dabbenaggine di chi le rilascia ai giornalisti.

Personalmente non mi indigno innanzi a un ministro dell’Interno che ama indossare divise e mostrine della Polizia di Stato o dei Vigili del Fuoco (in sostituzioni alle vecchie felpe souvenir di città o regioni). Provo però un grande imbarazzo quando incappo in alcune sue dichiarazioni, così come in quelle di molti nostri rappresentanti parlamentari.

Il ministro Luigi Di Maio ha probabilmente valutato che esisteva un modo semplice per coccolare il suo insaziabile Super Ego, mentre annunciava in qualità di membro dell’esecutivo la propria vicinanza al movimento dei “Gilet gialli” d’oltralpe: i manifestanti che da settimane mettono a ferro e fuoco Parigi e in ultimo hanno addirittura sfondato il portone di un Ministero.

I rivoltosi francesi possono provocare sentimenti di solidarietà o di avversione. Personalmente a tratti simpatizzo per loro, ma un componente del governo italiano non può permettersi l’ardire di schierarsi apertamente con i contestatori di piazza. In questo caso è come se Di Maio avesse dichiarato: “La Repubblica sostiene gli insurrezionalisti francesi e li invita a sfrattare dall’Eliseo il Presidente Macron”. Parole che potrebbero essere causa di gravi tensioni tra le diplomazie di Italia e Francia.

Nello stesso modo il Ministro Matteo Salvini si rivolge ai sindaci ribelli, ossia coloro che hanno congelato il Decreto Sicurezza, con i toni tipici di un teppista da strada che si rivolge al malvivente di una gang rivale. Gran parte dei post pubblicati sui social dal Ministro leghista assomigliano più agli atteggiamenti di un gradasso che ad asserzioni di chi dovrebbe presiedere dal Viminale l’ordine pubblico.

Il nostro Paese vive quotidianamente paradossi insostenibili, e il fenomeno immigrazione ne è l’esempio più eclatante. La Nato, di cui l’Italia è parte, ha scatenato guerre in Africa e in Medio Oriente per assecondare i vili interessi speculativi delle proprie classi dirigenti, ma i governi occidentali continuano a stupirsi innanzi a chi fugge dalle conseguenze di quei conflitti bellici.

La stessa faticosa accoglienza dei migranti genera però al contempo una sorta di diseguaglianza tra costoro e i cittadini italiani. Esempi giungono sia dall’assegnazione di alloggi pubblici e sia dal sostegno a progetti di inserimento lavorativo riservati esclusivamente a chi approda sulle nostre coste: per molti connazionali tutt’oggi guadagnare 800 euro al mese è una chimera.

La cittadinanza percepisce questa discrepanza come una profonda ingiustizia, resa ancor più tale dall’abbandono a se stesso del welfare da parte della politica, nonché dal varo di continue soluzioni legislative dall’effetto placebo per i settori sociali più fragili. Il reddito di cittadinanza (proposta originariamente interessante) a forza di modifiche, chieste a gran voce da Pd-Forza Italia e Confindustria, si appresta a trasformarsi nella brutta copia della famigerata Social card.

I progetti di legge invero hanno la capacità di influire nella nostra esistenza se sono frutto di una visione ampia e generale della società (in sintesi dell’ideologia), mentre divengono burattini nelle mani della propaganda nel caso nascano su visioni spezzettate del contesto sociale che si vuole governare. Le proposte di legge lasciate in balia delle onde parlamentari e prive di un ancoraggio ideologico (quindi progettuale di ampia visione) sono destinate a partorire provvedimenti inutili, per non dire dannosi.

Occorre passare rapidamente dalle chiacchere “da Bar” alla consapevolezza che il popolo non necessita di patetici spacconi ma di statisti: una specie oramai rara.

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