ECONOMIA DOMESTICA

Le start up in Piemonte? Quelle del secolo scorso

La regione è in coda per numero di imprese innovative in Italia, in compenso l'economia del territorio resta in piedi grazie ai vecchi colossi nati addirittura prima del 1900. Le nuove nate faticano a crescere e denunciano una perenne mancanza di liquidità

Langue il Piemonte delle start up. La regione che dovrebbe fondare il suo sviluppo sull’innovazione si rivela un terreno non certamente fertile per giovani imprenditori in grado di aprire un’impresa e gettarsi nel mercato.  A livello assoluto, infatti, il Piemonte risulta la quinta regione italiana per numero di start up: sono 502 quelle iscritte nella sezione speciale del Registro Imprese. Davanti ci sono Lombardia (2419), Lazio (1065), Emilia Romagna (901), Veneto (876), Campania (751). Una performance ancor più grama se si tiene conto del rapporto con la popolazione attiva, compresa tra i 23 e i 55 anni, in cui il Piemonte sprofonda in tredicesima posizione con un indice di densità di 1,8 rispetto al 20 del Lazio, al 19 dell’Emilia Romagna e Basilicata e al 15 della Lombardia.

I dati della quarta edizione dell’Osservatorio sulle start up innovative, realizzato dal Comitato Torino Finanza della Camera di commercio con la collaborazione tecnica di Step Ricerche, non sono incoraggianti, anzi indicano un’area geografica priva di fermento da questo punto di vista, che ancora si affida ai vecchi giganti del capitalismo del secolo scorso. Basti pensare che sui 131 miliardi di pil, registrati al 2016, il 40% del valore aggiunto è attribuibile a imprese nate prima del 1900, oltre un secolo fa. Tra le imprese più longeve si trovano i Fratelli Piacenza insieme ad altri storici lanifici biellesi, poi alcune aziende storiche alimentari (Martini & Rossi e Caffarel) e infine gli istituti di credito e le assicurazioni locali, senza naturalmente dimenticare la Fiat, nata nel 1899. Insomma il Piemonte vive ancora di rendita, potendo contare su un glorioso passato, ma di prospettive per il futuro ce n’è ben poco e questa non può che essere una brutta notizia per un territorio che ha bisogno di diversificare la propria economia dopo il secolo ferrigno e gli anni della one company town.

L’ultimo periodo storico di vitalità del tessuto economico piemontese risale al trentennio tra il 1970 e il 2000, in cui le imprese neonate contribuiscono per lo 0,9 per cento del pil per ciascuna annata. Tre decenni in cui sono state fondate le basi per produrre quasi un terzo (27%) del pil contemporaneo.

La missione delle start up innovative e tecnologiche è duplice: aumentare la produttività totale delle risorse, che rappresenta un fattore di crescita dell’economia generale, e sostituire, modernizzando, il tessuto delle imprese. In Italia, le start up innovative, dopo sei anni di esistenza dell’elenco speciale, rappresentano lo 0,67% delle società di capitali, il che comporta che allo stato attuale la loro generazione non può assolvere alla funzione sostitutiva del turnover della manifattura e dei servizi, ma ad una funzione integrativa e mista (si consideri, per esempio, che il tasso di mortalità lorda è dell’8,2% in Italia e del 7,8% in Piemonte).

C’è poi un problema legato alla oggettiva difficoltà di crescita. Le start up del Nord Italia hanno ricavi medi di 52mila euro (il Piemonte è inferiore con 38mila) e sono cresciute in due anni di 43mila euro (29mila in Piemonte). Il valore aggiunto lordo è di 58mila (23mila in Piemonte). La posizione finanziaria netta è negativa per -11mila euro, (-9.900 in Piemonte), ma assorbe solo il 12% del patrimonio netto che vale, in termini generali, 86 mila euro. I tre quarti del campione rappresenta un cluster di aziende di dimensioni decisamente piccole, finanziate solo dai fondatori in proporzione a progetti relativamente poco costosi. Nonostante questo, l’indagine mette in luce che il quarto quartile delle start up ha dimensioni maggiori (i ricavi superano i 140 mila euro e sono cresciuti di almeno 110 mila euro negli ultimi due anni). Questa fetta di startup ha già una redditività operativa del capitale positiva (7%) e sono quelle che hanno maggiore possibilità di sopravvivenza a medio termine.

Piccole, finanziate principalmente dai fondatori e dai soci, le start up piemontesi godono di agevolazioni pubbliche (ne ha usufruito una su quattro), ma lamentano mancanza di liquidità e difficoltà ad approcciare nuovi investitori, fattori determinanti per spiegare la fatica di inserirsi nel mercato nazionale prima ancora che globale. Per quanto riguarda i settori di innovazione non esiste un tema dominante nelle innovazioni che gli startupper piemontesi vogliono proporre al mercato, anche se i filoni dell’Ict sono piuttosto gettonati. Spicca, piuttosto, l’assenza di alcuni filoni: non vengono quasi sfruttati gli “open data”, così come la blockchain, che al di là delle avventurose applicazioni nell’ambito delle quasi monete private potrebbe avere altri sviluppi. Anche l’e-gov non è nel mirino degli startupper, che puntano al mercato privato, con una leggera prevalenza verso il B2B.

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