ECONOMIA DOMESTICA

"Persone, non solo imprese", la rivoluzione delle coop

Alla vigilia del XII congresso regionale il presidente Gonella rivendica il ruolo del sistema cooperativistico nell'economia piemontese. Da rete di protezione contro la crisi a motore di comunità. E a Salvini dice: "Con le attuali norme non partecipiamo più ai bandi"

Per decenni, l’aggettivo “rosse” è stato parte integrante e inscindibile della parola cooperative. Non certo senza ragione. Adesso e da un po’, pur rispolverata da Matteo Salvini negli attacchi alle coop che lavorano nell’accoglienza dei migranti, quella colorazione è sbiadita fino a stingersi. Non per scelta: come si è strappata la storica cinghia di trasmissione della Cgil con la fine di Pci e Psi, così per le coop è venuto meno il collateralismo politico, aprendosi per loro la sfida del mercato. Dal rosso popolare al grigio manageriale?

“Non è proprio così. Intanto diciamo che dovremmo tornare indietro di molti anni per ritrovare legami storicamente affermatisi in un contesto politico molto diverso. Da tempo sono cambiati gli attori del sistema politico, questo è un dato di fatto e una delle ragioni per cui quell’immagine è vecchia, superata”.

Giancarlo Gonella guida Legacoop Piemonte – 448 cooperative, 774mila soci, 21mila addetti e un valore di produzione di 1 miliardo e 776 milioni e un congresso che si terrà il prossimo 16 marzo a Torino Incontra – ma è anche il presidente regionale dell’Alleanza che riunisce, sia pure solo a livello di coordinamento nell’attesa di una fusione vera e propria, Confcooperative, Legacoop e Agci. Un pezzo dell’economia piemontese che vale oltre 16 miliardi di fatturato. E c he oggi mette al centro l'innovazione, come significativamente recita il titolo delle assise regionali - Rivoluzioni Cooperative - ma nel solco della tradizione: imprese di persone che generano comunità e futuro.

Cifre considerevoli. La crisi, però, non ha guardato in faccia a nessuno, migliaia di posti di lavoro andati in fumo e in Piemonte l’economia ancora arranca più che in altre regioni del Nord. Detto del vecchio legame con la politica quel che c’era da dire, il nuovo corso della cooperazione davvero è riuscito ad affrontare con conseguenze meno pesanti un periodo difficile, peraltro non ancora del tutto concluso?
“Direi di sì. Anche nei periodi più duri della crisi la natura cooperativa, a partire dalla riserva legale sugli utili e passando per la solidarietà, ha contribuito a farci superare momenti durissimi. Piuttosto che licenziare si sono applicati contratti di solidarietà, questo per far capire la differenza. Oggi continuiamo a registrare una tenuta dei livelli occupazionali nella nostre cooperative, addirittura in alcune di queste si è anche leggermente sviluppata”.

Sembrano quasi isole felici, le coop, in un mare dell’economia e del mondo del lavoro tra secche e tempeste. Davvero così?
“Ripeto, la crisi è stata durissima. Però le cooperative sono imprese che generano comunità e futuro non perché ce lo diciamo tra di noi, ma perché ce lo dicono studiosi e ricercatori che vedono questo strumento come moderno e in grado di dare risposte alla società di oggi, ma anche a quella di domani”.

Presidente Gonella, non può negare che ci sono anche tante coop di nome, ma non di fatto. Insomma delle imprese mascherate da cooperative, con tutti i vantaggi che ne consegue.
“Assolutamente innegabile. Anzi, oltre ad applicare spesso contratti lesivi per i lavoratori, sfruttarli spesso, rappresentano una concorrenza sleale per le cooperative vere e serie. Su questo abbiamo raccolto 100mila firme, servono norme più rigide. C’è una proposta di legge in Parlamento, speriamo vada avanti”.

Ma i controlli?
“Noi abbiamo anche una serie di verifiche interne. Chi sta in una delle tre associazioni dell’Alleanza è monitorato. Le altre? C’è un controllo del ministero che spesso non si fa neppure, così capita che si apra e quando non serve più allo scopo la falsa cooperativa si chiude”.

Intanto siete finiti nel mirino di Salvini per la questione dell’accoglienza agli immigrati.
“Le cooperative svolgono un’attività all’interno di norme e regole date dallo Stato. È un lavoro che va retribuito, qui non parliamo di volontari. Servono competenze e professionalità, che adesso vengono messe in difficoltà dalle ultime norme varate dal governo: con 25 euro assegnati per ogni migrante non siamo neppure più neppure nelle condizioni di partecipare ai bandi”.

Anche in questo caso vale quello appena detto per le false cooperative, c’è chi lavora bene e chi ha fatto il furbo e i soldi.
“Servono controlli, chi sbaglia paga, ma non devono pagarla quelli che il lavoro lo fanno come va fatto”.

Poi ci sono quelli che il lavoro lo perdono: aziende che delocalizzano o chiudono. La cooperativa può essere una soluzione, seppur parziale, in alcuni casi?
“Il problema c’è ed è gravissimo. In alcuni casi la cooperazione ha aiutato ad affrontare e risolvere delle crisi. Mi piace ricorda l’esperienza della cartiera Pirinoli di Roccavione dove grazie ai workers buyout, i dipendenti che uniti in cooperativa rilevano e gestiscono l’azienda, oggi dà lavoro a 80 persone. Questo grazie alla legge Marcora, strumento validissimo ma che da solo non basta: ci vuole la volontà di uomini e donne, come nel caso della cartiera, che hanno unito le loro forze, hanno rischiato i loro risparmi, si sono rimboccati le maniche e hanno rigenerato la loro impresa trasformandola in cooperativa”.

Nel Paese la crisi delle costruzioni in questi anni ha portato al crollo di giganti delle cooperative, adesso dal mondo delle imprese, così come dai sindacati si chiede l’apertura dei cantieri. Nel frattempo il Governo continua a tergiversare sulla Tav. Quanto pesa l’edilizia per voi?
Molto. Quello delle costruzioni e dell’impiantistica di Legacoop è senza dubbio il settore che ha registrato la crisi più grave. In un quadro del genere immaginare di non fare la Tav è a dir poco disastroso. Non solo per il lavoro che si genera con la realizzazione dell’opera, ma per quello che rappresenta per lo sviluppo della Regione, oltre che naturalmente del Paese”.

Cos’altro serve al Piemonte, visto dalle cooperative?
“Serve innanzitutto stabilità. Quella regionale in un modo o nell’altro con le elezioni ci sarà, ma a livello nazionale? Se non c’è stabilità chi investe?”.

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