VERSO IL VOTO

La Lega prepara le forche caudine

Salvini non ha fretta, lo sfidante di Chiamparino arriverà dopo il voto della Basilicata. "A Forza Italia converrà intestarsi il candidato scelto da noi", vaticinano i colonnelli del Capitano. Il caso Tav e la leadership della coalizione in Piemonte

I gradi non contano, se non quelli della temperatura che sale e diventa febbre tra i capataz azzurri piemontesi sempre più a rischio di perdere la candidatura alla presidenza della Regione, ormai appesa a quel che rimane di un filo e di un vecchio patto con la Lega. Così è facile per il Capitano guardare a quelle “faide” interne a Forza Italia in Piemonte di cui parla con i suoi a margine del Consiglio Federale, senza neppure dover spiegare l’ovvio: se i colonnelli azzurri si dividono e litigano, la battaglia la si vince senza neppur dover sparare un colpo a salve.

La riprova che la strategia di Matteo Salvini funziona – non muoversi di un passo di fronte all’agitazione dei berluscones per chiudere su un loro candidato la questione del competitor di Sergio Chiamparino – sta anche lì, in quel nervosismo ormai parossistico che si è impadronito della dirigenza forzista e, pian piano si estende alle terze e quarte fila e poi ancora, calcolato (dal leader leghista e dai suoi) effetto dirompente all’interno del sempre più sguarnito fortino azzurro.

Quel “non c’è nessuna fretta” ripetuto come un mantra dal vicepremier ad ogni domanda sulla definizione del dossier Piemonte e confermato dall’ulteriore passaggio delle regionali in Basilicata prima di qualsiasi decisione ha, naturalmente, accentuato le frizioni interne ai forzisti finiti nella palude con il loro candidato in pectore, l’eurodeputato Alberto Cirio, fermo ai nastri di partenza da troppi mesi.

Nei conciliaboli prima e dopo la riunione di via Bellerio lo stallo è imputato proprio alla babele che regna in Forza Italia. “A seconda dell’interlocutore cambia il candidato”, afferma un maggiorente del Carroccio che rivela di essere stato avvicinato nei giorni scorsi da un emissario di alto rango dello stato maggiore berlusconiano per sondare il gradimento su nome di un altro azzurro che, come Cirio, vanta natali politici nella Lega: il senatore Lucio Malan. Così come la sottile diplomazia dei supporter di Claudia Porchietto ha aperto una breccia nella cortina che avvolge la corte del Sultano di Arcore, arrivando ad arruolare pezzi da novanta dell’inner circle di Palazzo Grazioli.

Chiudendo i lavori del “Federale” Salvini accanto a Giancarlo Giorgetti ha respinto ogni ipotesi di divisioni all’interno del suo partito. Non altrettanto, in fatto di unità, possono dire i forzisti. Lui, il Capitano, lo sa bene e su questo lavora, anzi lascia che a farlo sia il tempo. Quello del patto sempre citato dagli azzurri, sembra essere ormai finito, archiviato da un Salvini che già ha messo tra le carabattole in soffitta il vecchio modello di centrodestra, legandosi al dito i ripetuti attacchi che gli ormai ex alleati non gli risparmiano neppure per un giorno. E poi guarda al voto del 26 maggio nell’ultima regione del Nord ancora governata dal centrosinistra come a un qualcosa che gli garba sempre meno lasciare nelle mani di un uomo (o una donna) di Berlusconi. C’è la Tav di cui occuparsi e incamerare il prevedibile successo del prosieguo dei lavori dopo la manfrina pre-europee, ci sarà da gestire la partita dell’autonomia, insieme a tante altre cose che Salvini pare sempre più determinato a non cedere, compresa la visibilità, a una figura di un partito che lui vede più come un fastidio che come una risorsa.

Un processo graduale, senza strappi eccessivi, ma che di fronte all’appuntamento elettorale in Piemonte non può che portare a una decisione. Che nulla fa supporre debba essere quella stabilita dal vecchio accordo di un manuale Cencelli del centrodestra, anch’esso superato. Il suo candidato a presidente la Lega ce l’ha pronto da settimane. Suo nel senso che se toccherà al Carroccio fare il nome di fronte alle ostinazioni così come alle divisioni interne a Forza Italia, sarà quello l’imprenditore Paolo Damilano.

Non suo in senso strettamente politico, visto che il ceo del gruppo di famiglia che opera nel settore delle acque minerali e dei vini di alta gamma non appartiene al partito di Salvini, pur avendo ottimi rapporti con gli alti vertici, a partire da Giorgetti al quale si deve il suggerimento su cui poi si sono mossi sia il capogruppo alla Camera e segretario regionale Riccardo Molinari, sia lo stesso vicepremier che con Damilano ha avuto almeno un incontro nelle settimane passate. Il non avere, Damilano, l’etichetta di partito consentirà al Capitano un’ulteriore mossa, di cui si è parlato ai massimi vertici del Carroccio: lasciare a Forza Italia la proposta ufficiale del nome dell’imprenditore, di fatto intestandosi la candidatura. Per Salvini sarebbe più che la quadratura del cerchio. Per gli azzurri, semmai attratti dall’idea e mossi dall’orgoglio, il trappolone finale. Le forche caudine, prima della resa finale.

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