VERSO IL VOTO

Cirio "cerino" in mano a Forza Italia

Tra gli azzurri monta il panico: che facciamo se lunedì prossimo la Lega ci impone Damilano? Critiche alla strategia (assente) del coordinatore Zangrillo: "L'arrocco rischia di trasformarsi in un autogol". Ma il piano B ce l'ha il Carroccio

“Vabbè, aspettiamo anche la Basilicata, ma lunedì poi che succede? Cosa facciamo?”. Il dilemma che pervade gli azzurri piemontesi ha sempre più le sembianze di un incubo. Pronto ad avverarsi se, come tutto lascia presagire, Matteo Salvini procederà sulla strada che molti dei suoi non negano essere ben tracciata e che porta a lasciare sul ciglio il candidato di Forza Italia Alberto Cirio e indirizzare verso la poltrona di presidente della Regione l’imprenditore Paolo Damilano, ovvero il candidato non leghista, ma individuato dai massimi vertici nazionali del Carroccio e pronto ad essere indicato dall’azionista di (ampia) maggioranza della coalizione di centrodestra.

Ancora pochi giorni separano dal voto nella regione dove il centrodestra punta a interrompere la tradizione di governi di centrosinistra, con la Lega altrettanto pronta ad addossare un’eventuale sconfitta su Silvio Berlusconi, impuntatosi sull’ex generale della Guardia di Finanza Vito Bardi, che Salvini non avrebbe voluto. Insomma, comunque vada in Basilicata, il Capitano ne uscirà bene. Tanto da poter, di fatto, imporre la sua linea per il Piemonte. Si tratterebbe, quindi, soltanto di un ennesimo rinvio da sopportare da parte dei forzisti: non certo e non più, però, per avere quella agognata investitura ufficiale del loro candidato, quanto per essere posti dinanzi al fatto compiuto: a correre contro Sergio Chiamparino la Lega vuole l’imprenditore delle acque minerali e dei vini pregiati, un nome prestigioso di alto standing in grado di fare breccia persino in ambienti finora ostili al centrodestra.

Certo tutto può succedere, così come il contrario di tutto, ma negli ambienti leghisti nella Capitale più d’uno fa notare come difficilmente ci si sarebbe spinti così in avanti nei confronti di Damilano, con incontri ai massimi livelli – dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, allo stesso Salvini – se l’ipotesi Cirio non fosse seriamente compromessa.

Posizione diametralmente opposta quella di Forza Italia, dove si continua a ribadire con fermezza, sia pure senza quegli assai poco credibili toni ultimativi fatti circolare pochi giorni fa e subito ridimensionati, che l’unico candidato è e resta l’europarlamentare albese. Il quale, visto quel che sta accadendo e quel che assai probabilmente accadrà dopo il voto in Basilicata, da vessillo rischia di diventare cerino nelle mani dei suoi compagni di partito.

“Che facciamo?” si chiedono guardando al giorno del giudizio salviniano. Già, che faranno? Terranno il punto fino alla fine con il rischio che diventerebbe certezza di vedere Lega, FdI e liste di appoggio uniti su Damilano e loro, con i sondaggi che li danno attorno al 6%, correre in solitaria con la rabbia e l’orgoglio, che come noto non si contano allo spoglio delle urne, tantomeno assicurano posti in una giunta che a quel punto sarebbe fatta dagli ex alleati, con gli azzurri fuori?

Immaginare un Salvini che cede di fronte a una pur rigida impuntatura, con i numeri che ha dalla sua, è addentrarsi nella fantapolitica spinta. Storia reale, invece, è quella che racconta precedenti di marce in solitaria del centrodestra non più unito: accadde cinque anni fa con tre candidati alla presidenza della Regione: Enrico Costa, Guido Crosetto e Gilberto Pichetto. Sarebbe successo nuovamente due anni dopo alle comunali di Torino, con Forza Italia che candidò Osvaldo Napoli e Lega con Fratelli d’Italia sul civico Alberto Morano. I pesi interni alla coalizione sono cambiati e il vantaggio che i sondaggi accreditano allo schieramento trainato dal Carroccio infonde serenità negli uomini di Salvini.

Gli azzurri non hanno altro argomento se non fare appello al leale rispetto di un patto siglato in una fase temporale che appartiene ormai alla preistoria politica e tradisce l’assenza di uno straccio di strategia: del resto l’arrocco spesso prelude la resa. Il coordinatore regionale Paolo Zangrillo, fratello del medico personale del Cav, non sa che pesci pigliare e attende istruzioni da Arcore. Il refuso di Forza Italia (per via di quel Zangrullo sfuggito sulle pagine di un giornale cittadino) non ha carisma né destrezza sufficienti per delinare una mossa in grado di far uscire dal’angolo il suo partito. Come tutti i principianti presuntuosi fa lo sbruffone e bluffa.

“Se non ci fossero dubbi sul nome, la candidatura di Cirio sarebbe già stata ufficializzata dai leader” dice una fonte azzurra, inconsapevolmente degna di Lapalisse. Perché ormai è chiaro che oltre al rischio dell’imputazione coatta nell’ambito della Rimborsopoli piemontese sul politico langhetto si allungano altri dubbi che attengono alla sfera personale e politica. E fossero solo quelli i dubbi. Quello su cosa succederà dopo il voto lucano suggerisce la chiave amletica: essere o non essere della partita anche nel caso Cirio non sia il candidato della coalizione e la Lega “imponga” il suo?

Il non aver voluto mettere in conto un’alternativa a Cirio, restando in casa propria, pone Forza Italia in una situazione non facile nel caso di uno stop definitivo al politico di Alba. E, per contro, aprirebbe ancora di più la strada alla Lega per la candidatura di Damilano. Se la soluzione all’ormai estenuante vicenda, sarà quella che tarperà le ali a Cirio impedendogli di volare verso la poltrona su cui oggi siede Chiamparino, nessuno nella Lega ha interesse a passare per chi lo ha impallinato come un tordo. Un’onorevole exit strategy sarebbe pronta per lui e per Forza Italia nel caso non riesca a spiazzare la Lega mettendo sul tavolo un’altra candidatura, ma neppure intenda strappare definitivamente col Carroccio.

Proprio da quelle parti si rammenta cosa accadde in Liguria quando si andò al voto: per mesi era stata data come certa la candidatura a governatore del leghista Edoardo Rixi, poi Berlusconi mise in campo Giovanni Toti e il giovane leghista, uomo tra i più vicini a Salvini, fece un passo di lato entrando in giunta come assessore, incarico che ha conservato fino a quando non è approdato in Parlamento e poi al Governo come sottosegretario a Trasporti.

Un modello a parti invertite, quello ligure, che potrebbe concorrere alla soluzione, la meno penalizzante possibile per Forza Italia e per lo stesso Cirio. Mettendoci pure di mezzo la cabala, visto com’è andata per Rixi, Cirio potrebbe ritentare con maggiore tranquillità un secondo mandato a Strasburgo, con la sicurezza di avere a Torino comunque una poltrona riservata. Anche se non quella sulla quale con troppa fretta lo avevano già sistemato i suoi.

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