Centro, ora lo chiedono in tanti

Tra le poche certezze che accompagneranno il dopo elezioni europee ci sarà quello della formazione di un nuovo “partito/movimento di centro”. E questo non solo per l’ormai massiccia richiesta che arriva da alcuni grandi organi di informazione ma perché ci sono tutte le condizioni politiche e culturali per far decollare un progetto che quasi si impone nella dialettica politica italiana dopo il voto del 4 marzo scorso e soprattutto dopo un anno del governo gialloverde.

Sono tre, in sintesi, gli elementi che portano a questo sbocco. Innanzitutto il ritorno del sistema proporzionale. Il superamento del maggioritario e, di conseguenza, dell’impianto bipolare, impongono quasi per legge il ritorno delle coalizioni e del sistema delle alleanze. Ma le alleanze, com’è a tutti evidente, si trascina anche e soprattutto la presenza dei partiti e delle rispettive culture politiche. Del resto, in Italia come diceva Mino Martinazzoli, “la politica è sempre stata politica delle alleanze”.

In secondo luogo la profonda, e scontata nonché oggettiva, trasformazione del quadro politico italiano. Accanto all’irrompere di una “nuova destra” – guidata con intelligenza e coraggio da Matteo Salvini – con un profilo politico e culturale netto e definito, si contrappone una “nuova sinistra” guidata dal neo segretario del Pd Nicola Zingaretti. Una riedizione, seppur in versione aggiornata e rivista, del Pds, com’è ormai evidente a tutti. Nulla a che vedere con l’intuizione originaria del Pd come partito post ideologico, culturalmente plurale e come sintesi delle grandi culture riformiste. Quello, ormai, è un mero ricordo del passato. Oggi il Pd è, legittimamente, il nuovo partito della sinistra italiana, con i suoi riti, la sua simbologia, la sua cultura, il suo pensiero e la sua classe dirigente. Al contempo, Forza Italia si riduce sempre di più ad essere un piccolo contenitore personale di Berlusconi destinato ad avere un ruolo del tutto marginale nella geografia politica italiana essendo stato definitivamente archiviato il vecchio centrodestra.

Infine, e questo è l’elemento politicamente più significativo, la necessità di evitare una profonda radicalizzazione della lotta politica italiana. Il ritorno della destra contro la sinistra e viceversa – cioè la riedizione seppur in forma aggiornata e rivista della vecchia e stantia logica degli “opposti estremismi” come abbiamo sperimentato recentemente al convegno sulla famiglia di Verona – impone ed invoca la presenza di una forza politica e culturale che sia in grado di reintrodurre nella dialettica politica contemporanea alcune peculiarità sempre più indispensabili per garantire una sana dialettica democratica da un lato e, al contempo, salvaguardare una credibile cultura di governo. E quindi, cultura della mediazione, senso delle istituzioni, cultura di governo, ricetta riformista, credibilità della classe dirigente, riconoscimento del pluralismo, composizione degli interessi e capacità di battere la deriva della radicalizzazione della lotta politica che rischia di incrinare lo stesso tessuto democratico del nostro paese.

Ecco perché, dopo il grande sondaggio popolare del voto del 26 maggio, farà capolino una forza politica capace di recuperare la miglior tradizione della cultura democratica e costituzionale italiana che sia in grado di rilanciare, attraverso una prospettiva di governo meno radicale, improvvisata e superficiale, anche una sempre più indispensabile qualità della nostra democrazia. La “nuova destra” e la “nuova sinistra” sono certamente importanti ma è giunto il momento per far decollare anche un “nuovo centro” democratico, riformista e plurale. Appuntamento al 27 maggio.

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