VERSO IL VOTO

Votare il presidente oltre i partiti

In ogni elezione circa 300mila piemontesi esprimono la preferenza solo per il candidato governatore, evitando di crociare le liste della coalizione. Contano notorietà e autorevolezza. Nelle loro mani l'esito delle urne di domenica prossima

I trecentomila voti che potrebbero sconvolgere ogni previsione. Più dei giorni che separano dalle elezioni di domenica prossima, peraltro assai importanti nella partita tra centrodestra e centrosinistra, a fare la differenza tra Sergio Chiamparino e Alberto Cirio, portando uno piuttosto che l’altro alla presidenza della Regione, sarà quel poco meno del 15 per cento di elettori che storicamente indica sulla scheda solo il candidato governatore senza esprimere alcun voto ai partiti.

Una parte di corpo elettorale costante ad ogni consultazione regionale: nel 2014 a fronte di 2.244.502 voti validi, quelli alle liste si fermarono a 1.947.787, ovvero poco meno di 300mila piemontesi si espressero solo sul candidato presidente. E Chiamparino, che uscì vincitore, prese 1.057.031 voti rispetto ai 930.901 della coalizione. Va osservato, che cinque anni fa i candidati a governatore erano ben sei e il centrodestra si presentò diviso. E ognuno, chi più chi meno, prese più voti dei partiti che li sostenevano, dall’exploit di Guido Crosetto (ben 45mila preferenze oltre FdI) ai buoni risultati personali degli altri sfidanti (Enrico Costa, Davide Bono, Mauro Filingeri).

La tornata ancora precedente che nel 2010 portò il leghista Roberto Cota in piazza Castello, su 2.204.349 voti complessivi quelli alle liste furono 1.894.049 facendo arrivare a oltre 310mila le schede su cui era stato barrato soltanto il nome del candidato alla presidenza. Ancor più elevato il numero dei votanti che decisero di esprimersi solo per il governatore, senza tracciare il segno su alcun simbolo di partito nelle elezioni che nel 2005 premiarono il centrosinistra con Mercedes Bresso: all’epoca furono ben 363.251 suddivisi per i quattro aspiranti presidenti, anche se sostanzialmente tra i due contendenti: Bresso e il governatore uscente di Forza Italia Enzo Ghigo.

Uno zoccolo duro di irriducibili che, pur ovviamente mutando nella sua composizione e in parte anche nelle motivazioni, nulla fa prevedere possa diminuire in questa tornata elettorale, anzi. Molto lascia supporre che quei trecentomila potrebbero alla fine risultare un bel po’ di più rispetto alla media delle ultime tre elezioni regionali.

Certamente questa volta avranno un peso maggiore, arrivando probabilmente a fare quella differenza che passa tra arrivare primo e piazzarsi al secondo posto. Ancor prima, però, questo tipo di voto racconta e conferma come la sola indicazione del candidato presidente non sia un’eccezione o quasi una sorta di espressione monca, ma al contrario spesso una scelta premiale (per la figura cui assegnare la guida della Regione) o punitiva per i partiti. In questo novero va inserito, sia pure in misura più limitata, anche la pratica del voto disgiunto, ovvero tracciare la x sul nome di un candidato governatore e un’altra su una lista di altra coalizione e magari con la preferenza a un aspirante consigliere.

Del disgiunto si parla ormai da giorni, guardando soprattutto a una parte di elettorato grillino che, consapevole dell’impossibilità di una vittoria del loro candidato Giorgio Bertola, scelga di limare le unghie alla Lega di Matteo Salvini e trovi nel voto a Chiamparino la soluzione più efficace, conservando l’indicazione della lista del M5s e la preferenza al candidato (che potrebbe essere lo stesso Bertola, visto che è presente anche tra gli aspiranti consiglieri). Ma l’effetto non trascurabile, anzi addirittura determinante, per l’esito duello tra Cirio e Chiamparino di un voto al solo candidato presidente è accentuato da una situazione che era già ben delineata dai sondaggi quando ancora questi erano fruibili pubblicamente e che è difficile immaginare si sia capovolta: il presidente uscente è considerato un candidato forte sostenuto da una coalizione che come tale oggettivamente non appare, mentre l’europarlamentare di Forza Italia potendo contare su un fronte di partiti alleati oggettivamente forte (incominciando proprio dalla Lega) sconta ancora una debolezza della sua figura in quella metà del bacino elettorale regionale che coincide con Torino e la sua provincia.

Ecco perché quei trecentomila voti, che potrebbero essere anche di più, probabilmente faranno la differenza in una competizione dove l’effetto trainante delle concomitanti europee pare andando affievolirsi e dove, in più, una parte di elettori potrebbe per più di una ragione guardare alla scheda delle regionali come si trattasse di due votazioni distinte: una per scegliere il presidente e l’altra per manifestare la sua preferenza più politica nel caso queste non coincidano.

I sondaggi circolano più di prima, ma come noto non si possono divulgare. Quindi, rifacendosi agli ultimi non “secretati” e tornando alle immagini speculari di candidato forte-coalizione debole e viceversa, nel caso di Chiamparino un movimento a suo favore di una parte consistente di quei trecentomila e più voti non eviterebbe l’eventualità di un’elezione senza una maggioranza. Insomma, la sempre più evocata anatra zoppa. Per la quale, proprio guardando a quel possibile e non improbabile voto solo al candidato governatore, forse Chiamparino sta già pensando di preparare il tegame.

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