GRANA PADANA

Lega di lotta nel governo, ma farà i conti con il Nord

Nonostante svolta a destra e conversione sovranista per il partito di Salvini fortune elettorali e destini politici non possono prescindere dalla tradizionale base produttiva e territoriale. Quel voto "disperato e volatile" in Piemonte. L'analisi di Passarelli

“La Lega è un partito di lotta nel governo. E non da oggi ma dai temi in cui governava con Silvio Berlusconi”. Sta, non solo ma in sicuramente maniera decisiva, in questa capacità di perpetuazione di un dualismo unico nella politica italiana degli ultimi anni il successo ottenuto da Matteo Salvini. Alla guida del Paese, ma con l’immagine da offrire agli elettori di una forza politica di durissima opposizione all’Europa di Juncker, così come nel caso dell’ultimo vincente voto regionale, di altrettanto duro contrasto al centrosinistra che ha governato negli ultimi cinque anni il Piemonte. E poi quel voto “disperato e molto volatile” che in qualche modo accomuna la sorpresa del successo leghista nei luoghi simbolo dell’accoglienza all’immigrazione – da Lampedusa a Riace – a quelle periferie, come nel caso di Torino ma non solo, dove nel giro di meno di tre anni il consenso dato ai Cinquestelle è passato al partito del Capitano. Ragioni di un successo clamoroso quanto annunciato per Salvini. Il quale, tuttavia, “semmai le cose si dovessero mettere male sul fronte dell’economia, si vedrebbe presentare il conto proprio dal Nord”.

Gianluca Passarelli, professore associato in Scienza Politica all’Università La Sapienza di Roma, ricercatore dell’Istituto Carlo Cattaneo e membro di Itanes, osserva e studia da tempo il partito fondato da Umberto Bossi, anche se da quelle parti è tutt’altro che amato. Gli strali più pesanti gli sono arrivati nei mesi scorsi quando è uscito il suo saggio, scritto insieme a Dario Tuorto, dal titolo Estrema destra di governo (ed. Il Mulino). Quando parla della Lega non tralascia mai di chiamarla come, invece, Salvini ha deciso di non chiamarla più.

Professore, tolga una curiosità, perché lei continua a usare il vecchio nome di Lega Nord?
“Perché non ha perso nulla del suo dna. La Lega, nonostante l’immagine nazionale data da Salvini, resta un partito che ha la sua base nel Nord, che continua a vedere e preferire un’Italia a due velocità. Chi non vuole vedere questo progetto, come capita agli elettori del Sud, sbaglia. Loro sono utili al progetto”.

Di Salvini, dice?
“Beh, il suo innanzitutto è quello di rimanere al potere”.

Ci sta riuscendo e piuttosto bene, a giudicare dai risultati elettorali. La Lega di lotta nel governo, come dice lei, paga. Però questo non funziona con i Cinquestelle, che quanto a lotta non sono certo da meno.    
“Loro, una volta al governo, hanno perso la spinta propulsiva e sono andati in difficoltà. Probabilmente perché sono partito monotematico anti-casta e non essendo classe dirigente ma avendo solo raggiunto il governo del Paese si sono trovati in difficoltà”.

Mentre la Lega…
“È la forza politica oggi più establishment di tutti: delle banche, delle industrie, delle imprese, dei tantissimi Comuni che amministra, delle Regioni che governa. Però è riuscita sempre a mantenere questa doppia immagine, mostrandosi per abilità sua e disabilità degli avversari come la forza politica che era in grado di opporsi a non si sa bene a quale avversario da combattere mentre è al governo del Paese”.

L’Europa, anzi questa Europa come dice Salvini, però è un nemico dichiarato.
“Quella delle elezioni europee è stata una congiuntura favorevole: la Lega Nord contro establishment di Bruxelles si è trovata al momento gusto nel posto giusto. Questa campagna elettorale è stata l’occasione per dire: noi siamo al governo ma non riusciamo a condurre le battaglie che vorremmo per colpa dell’Europa. E sono arrivati i voti”.

L’ha sorpresa questo risultato?
“Oltre il 34 per cento è un dato eclatante, ma che sarebbe arrivata attoro al 30 era nelle cose, perché quello è ancora una volta lo spazio dal ’94 è in mano salda del centrodestra. Da allora il centrosinistra in termini di voti non ha mai vinto le elezioni, con l’eccezione del 2014 quando il tanto vituperato Renzi le vinse davvero”.

Però rispetto non solo a venticinque anni fa, ma anche ad anni meno lontani la Lega è esplosa e Forza Italia rischia l’implosione o la diaspora, ci saranno elettori moderati senza casa?
“Per me, quella dei moderati non è una categoria politica. Detto questo, non mi pare che Forza Italia sia stato un partito così conservatore istituzionale, come oggi lo si descrive: il G8 di Genova venne gestito dal governo Berlusconi e le campagne contro le tasse vennero promosse da lui. Insomma, Berlusconi non è mai stato un nuovo De Gasperi. Semmai la differenza è che in Forza Italia c’erano e ci sono ancora in parte delle componenti molto istituzionali, penso all’ex ministro Beppe Pisanu o alla componente ex socialista, figure che elaboravano idee, facevano proposte. Questa la grande differenza con la Lega Nord, dove c’è un uomo solo al comando in un vuoto siderale di idee e di classe dirigente. Berlusconi al contrario era stato all’inizio molto abile a circondarsi di personalità di rilievo”.

Salvini ha sfondato sulla sicurezza, l’immigrazione. Questo è innegabile.
“Certo, il suo partito riesce a sfondare dove culturalmente c’è predisposizione per l’insofferenza per lo Stato, contro le tasse, contro l’altro, chi viene visto come diverso. E le dinamiche delle proposte sono in quella direzione: condoni, riduzione delle tasse, linea dura sull’immigrazione”.

Ha fatto incetta di consensi anche il quelle periferie che avevano dato in massa il loro consenso ai Cinquestelle. Come se lo spiega.
“Intanto con il ragionamento che abbiamo fatto poc’anzi sulla differenza tra i due partiti nell’essere al governo e nel proporsi come di lotta e poi perché c’è un voto di disperazione e molto volatile, pronto a cambiare in fretta”.

Guardando dentro alla Lega, in Piemonte alle europee il miglior risultato l’ha ottenuto Gianna Gancia, una che non ha mai marcato le distanze da Bossi e dalla Lega delle origini e, soprattutto, che non aveva il supporto della dirigenza e dell’apparato. È un segnale che qualcosa non sempre funziona nel partito che lei definisce dell’uomo solo al comando?
“Io credo che ci sia un partito che Salvini sta un po’ trascurando e questo potrebbe essere un rischio per lui se le cose si mettessero male e penso al quadro economico del Paese. Il bene rifugio del partito resta il Nord e lui sta giocando una partita molto ambiziosa che potrebbe essere vincente, ma anche pericolosa. Se le cose dovessero mettersi male, chi chiederà prima il conto sarà il Nord e non il Sud. Anche per questo il grande terreno di caccia e di recupero del centrosinistra dovrebbe essere proprio il Nord”.

Dove ha perso, con il Piemonte, l’ultima regione che gli restava. Cosa ha sbagliato?
“Il Piemonte è notoriamente una regione a vocazione di centrodestra, quindi non c’erano da coltivare troppe illusioni. Sarebbe banale e ingeneroso dire che il Pd e il centrosinistra hanno sbagliato tutto”.

Cambiamo la domanda: da dove dovrebbe ripartire?
“A Milano quando il centrosinistra ha incominciato a investire in persone e risorse, in un progetto, è riuscito a creare un modello vincente. Credo che per l’Italia il Pd dovrebbe ripartire proprio dal Nord e in particolare da Milano. Un modello di governo della città e credo anche del partito: visione della società, proposte dal basso, rinnovamento urbano, tenere insieme lo sviluppo economico con il welfare. Per riuscire ci vogliono due cose: idee e coraggio. Il centrosinistra deve avviare un momento di riflessione e poi metterci il coraggio”.

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