GRANA PADANA

Salvini è partito. E la Lega non c'è più

Entra nel vivo anche in Piemonte la campagna di tesseramento alla nuova formazione "personale" del Capitano: 1400 militanti, oltre 4mila simpatizzanti. Il vecchio Carroccio come una bad company. Dietro le quinte malumori verso la gestione di Molinari

Rotta l’ampolla di Umberto Bossi, peraltro già messa qualche anno fa da Matteo Salvini tra le carabattole, e rotto ogni legame – non solo simbolico – con la Lega che è stata, arriva ufficialmente la Lega che sarà e che, di fatto, già è. Dalle ceneri del partito più longevo, cui non spetterà neppure un piccolo mausoleo ma solo il non celebrativo titolo di bad company, nasce quel che ormai esiste, ovvero il partito del Capitano, precisamente la Lega Salvini premier. E lo fa nell’osservanza del più rituale e antico stile dei partiti tradizionali: il tesseramento.

“Rischiamo di non avere abbastanza tessere e non averle ancora in ogni comune”, diceva ieri un dirigente di quello che ormai fa strano chiamare Carroccio, alla vigilia del giorno in cui in Piemonte come in altre regioni i gazebo raccoglieranno i rinnovi dei militanti, ma anche le adesioni dei simpatizzanti. Già, perché la rivoluzione salviniana butta alle spalle molto del passato, ma non tutto: l’attestazione di quell’anzianità di almeno un anno che è stata sempre riconosciuta con la militanza resta, i nuovi iscritti non saranno più sostenitori, ma simpatizzanti. Dettagli guardando ai nomi, ma nient’affatto irrilevanti quando si tratterà di poter votare o no gli organismi interni, prerogativa che resterebbe ai militanti.

Questi ultimi in Piemonte son attualmente circa 1.400, i sostenitori suppergiù tre volte tanto. Ma quanti saranno i tesserati della nuova Lega che nella regione che non ha più il rito pagano e padano alla sorgente del Po ma ha visto sgorgare un fiume in piena di voti per la forza politica che occupa abbondantemente due terzi del suo governo? “Non ci poniamo un obiettivo, tantomeno limiti” dice allo Spiffero il numero uno regionale Riccardo Molinari, aggiungendo un a dir poco eloquente "visti i risultati alle europee e alle amministrative...".  Un anticipo positivo è già arrivato lo scorso week-end da Asti e da Cuneo. Oggi oltre a moltissimi comuni tocca anche a vecchie e nuove roccaforti come Novara, Biella, Vercelli, Novi Ligure e la stessa Alessandria, città del capogruppo a Montecitorio.   

Lui, come gli altri suoi omologhi, formalmente è il segretario “nazionale”, altro retaggio del vocabolario nelle cui pagine ingiallite restano ancora la secessione e la più mite devolution. La nazione, nell’utopia dell’Italia federale, coincideva con la regione. Roba di quando l’ex europarlamentare europeo Mario Borghezio, tagliato fuori e non ricandidato da Salvini, rispondeva al telefono con un tonante “Padania libera”, Roma era ladrona e da Firenze in giù eran tutti terun. Adesso, Prima gli Italiani. Salvini l’ha voluto scrivere sulla tessera, sopra la foto che lo ritrae mentre ringrazia a mani giunte il suo popolo in Piazza del Popolo l’8 dicembre scorso.

Non tutto da buttare, si diceva. Infatti il Capitano ha salvato l’Alberto da Giussano e lo ha piazzato sul retro, a fianco dello slogan Il buonsenso al governo. Poi ci sono vecchi conti di cui Salvini farebbe volentieri a meno: la Lega ormai verso lo scaffale nel 2018, ha segnato un disavanzo di 16 milioni 452mila euro, segno evidente di quell’obbligo imposto dal tribunale di Genova di pagare i 49 milioni di euro per i rimborsi elettorali non dovuti dal 2008 al 2010. Ma quella, anche per questo, è la bad company. E in questo stato vivrà. In Parlamento gira una battuta attribuita a Roberto Calderoli: “La Lega storica non morirà mai. Non fosse altro perché deve restituire i 49 milioni”.

Dieci euro appena, invece, costa la tessera del nuovo partito, il cui cambiamento sembra sia stato accelerato da parte di Salvini in vista dell’eventualità di elezioni anticipate, ma non solo. C’è chi nelle sue fila prevede, temendolo o auspicandolo a seconda dei casi, un altrettanto rapido cambio della dirigenza ad ogni livello, a partire proprio dai segretari regionali fino alle sezioni di paese, sia pure rispettando l’ordine inverso per evitare il mercato delle tessere. “Su questi passaggi e sui tempi non si è ancora deciso” spiega Molinari il cui posto al vertice del partito in Piemonte, guardando ai risultati, appare uno dei più solidi. Questo non vuol dire, però, che nei quadri dirigenti e tra qualche eletto non ci sia chi qualche motivo di critica alla gestione di alcune situazioni da parte del segretario non lo trovi.

Pare che in qualche corridoio di Palazzo Madama, il senatore Cesare Pianasso abbia confessato il suo rammarico per non aver visto nella giunta di Alberto Cirio neppure uno dei tre eletti nel suo feudo del Canavese (l’assessore di Rivarolo Claudio Leone, quello di Cuorgnè Mauro Fava e Gianluca Gavazza di Torrazza). E sempre tra una seduta i commissione e un divanetto in Transatlantico qualche ragionamento sarebbe spuntato guardando a quelle poltrone lasciate libere da Armando Siri e dall’altro sottosegretario Edaordo Rixi che potrebbero interessare, non poco, alcuni parlamentari piemontesi, Elena Maccanti e Alessandro Benvenuto per fare due nomi (non proprio) a caso. Altro ragionamento conseguente, con interrogativo a seguire: Molinari è l’uomo della Lega piemontese di più alto grado e il Piemonte non ha neppure un sottosegretario, non è che lui preferisce mantenere questa situazione anziché provare ad aprire per qualcuno dei suoi conterranei una delle stanze dei ministeri?

Dovesse mettere un motto sul suo scranno di capogruppo, l’alessandrino probabilmente non avrebbe dubbi: hic manebimus optime. Nessuna mira per quel ruolo nell’esecutivo che le cronache dell’esordio raccontano come frutto di una spartizione in piena armonia tra lui e Rixi delle due poltrone: il genovese preferì andare al Mit e Molinari prendere il posto di Giancarlo Giorgetti alla Camera quando il leghista più inviso ai Cinquestelle, ora probabile commissario europeo, si era trasferito a Palazzo Chigi.

Ma sta benissimo anche a capo del partito piemontese, Molinari. Il suo posto sarà contendibile se e quando Salvini deciderà che è arrivato il momento per un tagliando, con rinnovi e riconferme, dei suoi proconsoli. Prima ci sarà un passaggio non meno importante: la modifica allo statuto con cui rafforzare i poteri del segretario portando tutti i dirigenti sul territorio a rispondere a lui e non più al consiglio federale, organismo sempre più ritenuto un armamentario ereditato dalla Lega del Senatur. Anacronistico e superato, nel partito del Capitano, al pari dell’ampolla. 

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