SOTTO LA MOLE

Alleanza Pd-M5s a Torino, per Fassino è "superata"

L'ex sindaco perentorio: "Il problema si è risolto da sé" con il progressivo sfaldamento dei Cinquestelle. Nel Pd fanno gli scongiuri sperando non sia l'ennesima profezia. Ora parte la caccia all'elettorato deluso da Appendino

Pd primo partito in Emilia (e pure in Calabria), centrosinistra di nuovo competitivo, soprattutto nelle grandi città (a Bologna la coalizione di Stefano Bonaccini sfiora il 65%), il Movimento 5 stelle ridotto ai minimi termini. Questi sono solo alcuni degli spunti forniti dall’ultimi voto delle regionali, utili per determinare le strategie in proiezione delle amministrative di Torino del prossimo anno.

E così dopo mesi a parlare di un’alleanza strutturale tra Pd e M5s nell’ottica duplice di arginare il centrodestra a trazione leghista e puntellare il governo giallorosso, anche i propugnatori di quel connubio sembrano correggere il tiro. A che pro un accordo con un partito ormai ridotto a puro ceto politico e che, nei fatti, rischia l’estinzione? È questa la domanda che circola nelle chat interne al Pd subalpino. “Ho sempre pensato che il problema delle alleanze a Torino si sarebbe risolto da sé. E adesso l’obiettivo è intercettare gli elettori in uscita” dice Piero Fassino, ultimo sindaco di centrosinistra nel capoluogo e oggi parlamentare eletto proprio in quell’Emilia che ha resistito all’assalto di Matteo Salvini, precisamente a Ferrara, dove la Lega ha però fatto il pieno di voti. Parole pronunciate in colloqui informali e riportate in alcune conversazioni su Whatsapp con alcuni dirigenti dem, mentre i più scaramantici fanno gli scongiuri ripensando alle ormai proverbiali profezie del Lungo. 

Un’analisi corroborata anche dai dati appena elaborati dall’Istituto Cattaneo, secondo cui gli elettori del Movimento 5 stelle hanno virato in massa a sinistra, pur avendo un proprio candidato, risultando decisivi al successo di Bonaccini. La ricerca si è focalizzata su cinque capoluoghi di provincia: Forlì, Ferrara, Parma e Ravenna prendendo in considerazione i flussi elettorali tra le europee del 2019 e le ultime regionali.  Lo studio mette in rilievo il “ruolo determinante dei 5 Stelle sull’esito del voto”.  Il 71,5% degli elettori grillini a Forlì ha scelto il centrosinistra, lo stesso dicasi per il 62,7% degli elettori di Parma e il 48,1% dei ferraresi. Solo una minoranza è rimasta fedele al candidato del M5s (Simone Benini) o si è rivolta al centrodestra di Lucia Borgonzoni. L’espansione elettorale dell’area di centrosinistra guidata da Bonaccini è dovuta dunque “alla maggiore capacità di attrazione degli elettori pentastellati, che di fronte all’alternativa tra destra e sinistra – si spiega nello studio – hanno optato in modo netto per lo schieramento del presidente regionale uscente”.

Un’indagine che irrobustisce la teoria di quanti, in queste ultime settimane, hanno sostenuto la necessità di rivolgersi agli elettori grillini più che allo sgangherato gruppo dirigente pentastellato e in particolare a Chiara Appendino. Più sibillina l’analisi di un altro sostenitore dell’accordo con i Cinquestelle, il vicepresidente della Sala Rossa Enzo Lavolta: “Queste elezioni ci dicono che il Partito democratico può, se non si arrocca in recinti autoreferenziali e si apre al confronto, intercettare anche i delusi”. Parole che sembrano inserirsi nel solco di quanto affermato da Fassino. Chi ancora pensa che sia necessario a Torino scendere a patti con i Cinquestelle per arginare Lega e centrodestra? Ancor più adesso che Appendino fatica a tenere insieme una maggioranza sempre più sfilacciata. Il voto in Emilia ha ringalluzzito le anime critiche di una gestione della cosa pubblica improntata alla realpolitik, incarnata dalla sindaca e dal suo asse con Luigi Di Maio. “Quando diventi come tutti gli altri, le persone votano tutti gli altri” è stata l’analisi di Damiano Carretto, uno dei consiglieri dissidenti del M5s. Alla vigilia degli Stati Generali la prima cittadina si ritrova a incarnare una delle poche alternative credibili per succedere al ministro degli Esteri a capo del movimento, mentre il gruppo in Consiglio, già fiaccato da una serie di defezioni, rischia di implodere da un momento all’altro. 

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