INTERVISTA

Avanti i civici, politica in ritirata

Torna di moda la mitologica società civile. Ultimo è Salvini che per Torino pensa a un candidato sindaco senza tessera di partito. Secondo il sociologo Panarari quella del leader della Lega è una mossa tattica e serve principalmente "per ripulirsi"

Quando il vocabolario della politica ancora non contemplava – e avrebbe continuato a farlo per molto ancora – la voce società civile, le rare uscite dallo stretto perimetro dei partiti nell’offerta agli elettori erano rappresentate dagli indipendenti. Più noti quelli "di sinistra" del Pci, meno anche se presenti quelli nelle liste della Democrazia Cristiana. Poi arrivò Silvio Berlusconi, il non politico che nei non politici pescò a piene mani per costruire il suo partito. Quasi trent’anni dopo sarebbe stato difficile immaginare il leader di quello che, ormai, è il più longevo partito sulla scena e anche il più strutturato, il capo indiscusso di una forza politica di stampo leninista com’è la Lega aprire a candidati civici per le prossime elezioni nelle grandi città. Matteo Salvini lo ha ribadito, guardando al 2021, ancora giovedì scorso a Torino: “Sto pensando al candidato sindaco coinvolgendo la società civile. A volte bisogna rinunciare a interessi di partito e coinvolgere persone nuove: imprenditori, liberi professionisti, docenti, medici”.

Una svolta, forse una sterzata improvvisa e inattesa o, piuttosto, una manovra accortamente studiata per quello che un tempo si chiamava Carroccio e adesso è un treno pieno di consensi che non viaggia soltanto più al Nord, ma che qui ha ancora le stazioni più affollate? Professor Panarari, innanzitutto, era prevedibile questa apertura di Salvini, capo di un partito dove la militanza è valore assoluto e si guadagna ancora sul campo, alla società civile?
“Ho la sensazione che la sconfitta in Emilia-Romagna abbia prodotto una serie di conseguenze forti a cui Salvini per mantenere la leadership aveva bisogno di dare delle risposte non scontate. Questa scelta gli consente anche di condividere delle responsabilità in negativo nel caso di sconfitte, poi significa anche dare una risposta alla critica all’interno del partito, che arriva da quella parte che non sfiducerà mai il leader, ma che è quella orientata alla moderazione e alla quale i ceti produttivi del Nord, grande problema dell’attuale maggioranza giallorossa, guardano da tempo con riferimenti in Giancarlo Giorgetti e Luca Zaia. È chiaro che tra le varie insofferenze che si stanno manifestando c’è anche quella. E Salvini ha bisogno di dare una risposta”.

Massimiliano Panarari, sociologo della comunicazione, saggista e consulente di comunicazione politica e pubblica. Insegna all’Università Luiss Guido Carli di Roma, alla Luiss School of Government e all’Università Luigi Bocconi di Milano è autori di numerosi saggi, tra cui Uno non vale uno. Democrazia diretta e altri miti d’oggi, edito da Marsilio.

Quindi ci sono ragioni concrete e contingenti in quello che si potrebbe definire uno sdoganamento del civismo da parte della Lega. Ma questo è anche uno sfondamento a destra di una tradizione che per lungo tempo è stata pressoché esclusiva della sinistra?
“Sì, la società civile è stata scoperta dal centrosinistra molto tempo prima, mentre sul fronte opposto c’è stato un tentativo collegato anche alla dimensione personale di Silvio Berlusconi nella Forza Italia delle origini”.

L’epoca dei professori, Giuliano Urbani, Antonio Martino, Marcello Pera...
“Quello era un soggetto completamente nuovo, era poco partito. Berlusconi andò alla ricerca della società civile anche perché quello era il bacino più logico dove andare ad attingere per la sua storia professionale ed extrapolitica”.

La Lega nasce, cresce e arriva a Salvini in maniera diametralmente opposta.
“Per questo può stupire che uno degli ultimi partiti molto strutturati vada alla ricerca della società civile. All base ci sono diversi motivi. Uno è contingente-tattico: dato che la caratterizzazione radicale e di destra-destra, il flirt con gruppuscoli di destra radicale non ha portato fortuna. E c’è un tema ovvio e logico di compatibilità con soggetti influenti, con altri poteri e in funzione di equilibrii internazionali: a Salvini trovare società civile serve. Tra virgolette, per ripulirsi al fine di puntare al governo nazionale”.

Un’altra ragione?
“Ha a che fare, probabilmente, con un tema di riposizionamento dell’assetto organizzativo del partito. Nel momento in cui Salvini che ha il controllo totale della Lega compie l’operazione di passaggio dal vecchio al nuovo soggetto politico si trova ad ereditare una serie di quadri che in parte vengono dal passato, a lui fedeli ma alcuni di essi probabilmente non hanno ottenuto i risultati voluti dal leader e penso per esempio all’Emilia-Romagna. In alcune regioni su cui lui punta moltissimo per l’espansione al Sud, devono essere trovate figure nuove da poter spendere nella contrattazione con i partner della coalizione. Ecco che la società civile diventa un serbatoio. Terzo motivo: la necessità di avere figure portatrici di saperi tecnici. Questo non riguarda solo la Lega, ma in quel partito è ancora più forte perché come tutte le forze populiste punta moltissimo su temi forti, una propaganda altrettanto forte, ma poi bisogna fare i conti con la realtà”.

Non crede che questo ricorso all’esterno, alla quasi mitologica società civile sia da parte del centrosinistra sia, ormai, anche dal maggior partito di centrodestra non testimoni una debolezza della politica, una sua abdicazione a un ruolo che probabilmente non riesce più a svolgere come dovrebbe?
“Sicuramente è un sintomo di debolezza. Anche in altri momenti la politica ha scelto di presentarsi all’elettorato con un volto spendibile. Vista una certa sfiducia nelle classi dirigenti dei partiti non è una novità, ma è un tema strutturale che data dagli anni di Tangentopoli e che continua ad essere trascinato all’interno di questo sistema politico. La politica è in ritirata. Questo è un problema strutturale che interessa l’occidente. Vero è che la politica conta meno se non nella gestione diretta degli affari correnti del potere, ci sono delle fasi nelle quali questa consapevolezza diventa più rilevante anche tra i dirigenti locali che, quindi, pensano che la soluzione migliore sia quella di individuare delle figure con un profilo che permettano di rendere più attrattiva la proposta della coalizione. Anche se va fatto un distinguo: c’è una differenza notevole con i Cinquestelle dell’uno vale uno. Qui si cerca una figura che non sia l’uomo comune, la persona qualunque. È la ricerca di uno standing”.

A Torino si profilano candidati civici sia per il centrosinistra, magari alleato con i Cinquestelle, sia per il centrodestra, dopo le dichiarazioni di Salvini. I partiti sembrano delegare a figure esterne, non è anche questo un mostrare dei limiti?
“Torino è una città dove la società civile è ramificata e considerata forte, qui c’è un elettorato di opinione, moderato anche, quindi attratto da figure con caratteristiche che possono allettare li centrodestra, ma anche il centrosinistra. La città che ha visto ormai anni fa l’esperienza di Valentino Castellani continua ad essere laboratorio, ha una borghesia importante, una tradizione storica rilevante, con delle élite, ma anche con un ceto medio riflessivo che preferisce figure che siano in linea con una capacità di governo di sistemi complessi”.

Professore, ma un civico che scende in campo non diventa in quel momento un politico?
“Una premessa: nella Prima Repubblica il partito era l’attore politico essenziale, quindi costruiva candidature provenienti dalla società civile, ma il primato era del partito. Lo scopo era quello di allargare il bacino elettorale e garantire una rappresentanza sociale oltre i confini del partito stesso. Il meccanismo si rovescia nella Seconda Repubblica dove i partiti diventano più deboli e hanno bisogno di figure che siano simbolicamente rilevanti”.

Quindi, per fare un esempio, Giuseppe Conte è il modello di un esponente della società civile diventato politico a tutto tondo, oppure no?
“La decisione se diventare politico è in capo all’eletto, al nominato. Può scegliere di svolgere il suo compito a tempo, collegato a una fase emergenziale oppure, e qui c’è il passaggio, di restare in campo. A quel punto si imbocca un’altra direzione: è il tecnico della società civile che diventa il perno di un’offerta politica. Pensiamo alla lista di Mario Monti o alle attuali operazioni in corso attorno al presidente del Consiglio che è una delle ragioni della preoccupazione e della controffensiva molto dura di Matteo Renzi”.

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