È la fine della politica?

Alcuni giorni fa Marco Follini, storico dirigente democristiano e cultore della storia di quel partito, ha vergato un articolo dove richiamava l’attenzione sul rischio prossimo “della fine della politica nel nostro paese”. Una osservazione non banale non solo perché, com’è ormai evidente a quasi tutti, dopo la bufera che ci ha investiti, e che ci sta investendo, nulla sarà più come prima. Ma soprattutto perché ormai abbiamo la netta sensazione, come ci ha ricordato appunto Follini, che la politica sia di fatto stata archiviata. Ormai si parla, nella drammatica emergenza sanitaria con cui stiamo convivendo da molte settimane, solo tramite ordinanze che vengono poi smentite, riproposte, riviste e corrette. Insomma, inizia a prendere forma una società dove la politica, intesa e percepita come visione, futuro e prospettiva, è destinata a fare un passo indietro. Se non addirittura a scomparire.

Certo, non è il momento per approfondire queste riflessioni in un momento così tanto delicato e complesso per il nostro paese. Soprattutto per il nostro paese. Ma è indubbio che l’assenza di statisti e di grandi leader politici – i “capi” e i “guru” non mancano, per carità – adesso se ne sente drammaticamente la mancanza. Cioè di quelle figure che nelle altre grandi emergenze del nostro passato – anche se questa è, forse, l’emergenza più difficile da affrontare perché il nemico è invisibile – sapevano porsi come guide autorevoli e punti di riferimento per tutti. Anche e soprattutto per quanto riguarda i comportamenti da seguire e le scelte da osservare. È ovvio che gli improvvisati della politica, anche quando vengono salutati da sondaggi positivi ed entusiasti – fasulli? – non possono assolvere al compito che nel passato veniva esercitato da statisti e da leader che, appunto, erano in grado di guidare una intera comunità. Anche di là e al fuori del consenso politico dei rispettivi partiti di riferimento.

Oggi, oltre ad auspicare che l’emergenza sanitaria si fermi al più presto, non possiamo che augurarci che anche la politica torni al più presto al governo della “cosa pubblica” nel nostro paese. A scapito di chi ha esaltato l’inesperienza, l’improvvisazione e la non frequentazione della politica come postulati essenziali e decisivi per fare la politica nella stagione del populismo, della demagogia, dell’antiparlamentarismo e della incompetenza al potere. Quella stagione, almeno speriamo, dovrebbe essere arrivata anch’essa al capolinea.

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