GRANA PADANA

Lega in ebollizione, Molinari sulla graticola

Salvini è in difficoltà e anche il partito piemontese mostra molte crepe. Così l'area del partito vicina a Giorgetti punta a scalzare l'attuale capogruppo e mette uno zampino in Regione con qualche nomina. I riposizionamenti interni

Solo un indizio. Si sa, però, come convenga non sottovalutare anche i più banali giacché sommandosi e arrivando al fatidico numero di tre, come sosteneva Agahta Christie, scodellino una prova. La politica di delitti perfetti non ne conosce e di tracce ne semina più dei maldestri compagni che rubarono le galline a Don Camillo. Insuperabile in questo, quando si tratta di nomine.

Dunque non stupisce lo stupore di Alberto Cirio di fronte a un bel pacchetto di candidature, per altrettante posizioni di rilievo nella galassia regionale, proveniente dalla Lombardia, alcune di queste – ecco l’indizio – targate Lega. Per informazioni, citofonare Giancarlo Giorgetti. Il campanello dell’eminenza grigia leghista, nel condominio Nuovo Carroccio con l’attico ancora occupato da Matteo Salvini, è proprio a fianco di quello che il Capitano inizia a guardare con crescente sospetto. E dal quale teme che prima o poi possa arrivare lo sfratto, dolce, incruento, dalla data indefinita, ma che nessuno si sente di escludere mettendo la mano sul fuoco. Premesso, e non è premessa di maniera, che la Lega è l’ultimo partito leninista con tutto quel che ne consegue e nessuno si sogna rottamazioni da quelle parti, è incontrovertibile la posizione nazionale ormai assunta da Luca Zaia. Per indiscutibili meriti, non solo legati dalla gestione dell’emergenza Coronavirus (anche se questo ha fatto tanto) confermando uno stile diverso e lontano da quello del Papeete, delle felpe e delle corse lancia in resta (e scarpe slacciate) contro l’Europa.

Zaia e Giorgetti, la Lega pragmatica del fare più che del dire (talvolta troppo e a sproposito). Il vento del Nord che soffia più sull’economia che sulle paure: e per questo un po’ di paura in quella classe dirigente mai diventata veramente tale del salvinismo da esportazione, questo modello di partito e di futuribile leadership non può non piacere a una parte della Lega e della sua intendenza piemontese. Bogia nen, va letto nel significato letterale e originario della battaglia dell’Assietta. Quella che probabilmente nella Lega non ci sarà mai, il che non significa affatto che la linea del governatore del Veneto e dell’ex potentissimo sottosegretario non assumano, anche in fretta, peso maggiore.

Qualcosa sta succedendo nella Lega in Piemonte, con eletti d'alto rango come il parlamentare Alessandro Benvenuto e l'assessore regionale Fabrizio Ricca, che guardano con molta attenzione e partecipazione alle mosse e ancor più alle sempre soppesate parole di Giorgetti. Pretoriani salviniani come Andrea Crippa assurto alle cronache (anche giudiziarie) per la telefonata farlocca sugli sconti agli immigrati al Museo Egizio, lanciano messaggi non proprio beneaguranti all’indirizzo del segretario regionale Riccardo Molinari. E, ancora, i riflettori anche nazionali puntati sulla compagine consiliare in Regione guidata (si fa per dire) da un capogruppo dalle sortite spesso imbarazzanti.

Ecco cosa sta succedendo in questa Lega piemontese, e non è roba marginale. Soprattutto nella geografia di un partito che sta spostando il suo polo di attrazione verso Nord-Est e, al suo interno, verso poli cosiddetti più moderati e indiscutibilmente più pragmatici rappresentati da Zaia e Giorgetti, ma anche da quei lombardi che dopo la crisi del mojito sono rimasti a becco asciutto.

All’ex sottosegretario è stato riservato l’ufficio più prestigioso, anche più di quello del capogruppo alla Camera, la cui riconferma – secondo chi non lo ama più di tanto – sarebbe stata decisa immaginando un voto alle viste che poi non c’è stato. E questo avrebbe comportato non pochi malumori di illustri lombardi, da Massimo Garavaglia a Nicola Molteni, senza citare nuovamente Giorgetti.

Non una situazione facile quella di Molinari che oltre a dover fare i conti con una compagine a Palazzo Lascaris non propriamente all’altezza del ruolo di azionista di stragrande maggioranza, si potrebbe trovare anche in una sorta di limbo tra un salvinismo che accusa colpi e perde punti e un nuovo corso della Lega che, sempre secondo insider non certo disinteressati, lo vedrebbe in qualche difficoltà in un eventuale riposizionamento.

Pur essendo stato a lungo un suo braccio destro in via Bellerio, di Salvini Molinari non ha mai incarnato fino in fondo né la sbracatura populista, né alcune visioni su temi delicati e importanti, come la partecipazione alle manifestazioni del 25 Aprile o dichiarazioni – nette quelle di Molinari, sfumate quelle del leader – sull’antifascismo. Un moderatismo quello dell’attuale segretario regionale, conciliato con la condivisione senza ombre o titubanze, della linea del capo. Ma che resta e non striderebbe affatto con l’impronta giorgettiana.

Da quelle parti, però, sembra che le porte non siano spalancate – semmai pensasse di varcarne la soglia – per il giovane alessandrino dal cursus di tutto rispetto e non comune rapidità. La stessa assenza, fino ad oggi, di segnali di allarme sulle incursioni lombardo-giorgettiane in Piemonte, non sfuggite a Cirio, attraverso possibili nomine in enti e strutture regionali, lascerebbero intendere altrettanta assenza di volontà bellicose o, comunque di una sorta di difesa dei confini regionali, da parte del vertice leghista piemontese. Tattica sul terreno attuale o strategia proiettata in avanti, nell’attesa di cosa potrebbe capitare nella Lega, soprattutto dopo le elezioni regionali a partire da quelle nel Veneto? Chissà. una cosa è però lampante: il nervosismo crescente di Molinari.

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