Tra Magnifici e "bunom"

Un notissimo sindacalista metalmeccanico, non della Fim-Cisl, sulla scena nazionale per oltre un trentennio diceva sempre che c’è chi “predica bene e ruzzola male”. Esatto: ruzzola e non razzola perché è il finale che interessa con un bel ruzzolone anziché il durante, il razzolare.

Due esempi? L’aspirante Magnifico Rettore del Politecnico che chiude il suo Ateneo massimizzando le lezioni online creando un importante danno all’economia torinese privandola di tutti quegli studenti fuori sede che apportavano un notevole contributo all’economia torinese nonché alla vita sociale e alla movida che contribuisce, anch’essa, alla prospettiva dei commercianti torinesi.  Segue parziale rettifica ma rimane il problema. Il Magnifico pare non capire che l’economia riparte quando chi ha di più dà di più e chi ha di meno viene aiutato. Nel suo concetto grillesco di uno vale uno c’è insita la diseguaglianza sociale. 

Il Magnifico non ha capito che per fare l’aspirante sindaco non basta dirigere e proporre documenti da una cattedra ma serve l’agone sociale, stare tra la gente, essere percepito e vissuto come un conoscitore della città. È lo stesso motivo, insieme a tanti altri per cui ha fallito la brigata grillina, sindaca in testa.

Se ti dicono, ad esempio, che i cassonetti dell’immondizia di via Oropa sono sempre stracolmi non puoi prendere il cellulare e guardare dov’è via Oropa, devi saperlo a memoria. Anche così sei un sindaco.

Il secondo caso è nazionale, nella figura del novello presidente di Confindustria. La sua intervista su Repubblica di domenica 31 maggio è della serie “saranno famosi” con l’aggiunta del punto interrogativo. Anzi, forse, niente di nuovo sotto il sole e magari suggerirgli di non ripetere errori già fatti.

Un’intervista con accuse alla politica e non una proposta nuova, innovativa. Un’accusa a quella politica del Governo con cui fino a ieri hanno trattato per inserire le proprie posizioni nei Decreti e Dpcm. Salvo poi “sputazzarli”! Coerenza e linearità confindustriale. Poi, dal punto di vista sindacale parla di produttività contrapponendola agli aumenti salariali: significa forse che nei premi di risultato contrattati in azienda con parametri redditività, produttività, qualità non devono più essere legati a aumenti retributivi? Forse ha scordato gli ultimi trent’anni di politica partecipativa, non collaborativa come la intende il “bunom”, della Confindustria concordata con il sindacato. Perché nel contratto nazionale, credo sia informato, gli aumenti sono legati all’inflazione e pagati l’anno dopo. Più di così, per le imprese!

Attacca il contratto nazionale desiderandolo come una cornice e non ricorda che sta imitando, distante anni luce come capacità, Marchionne quando uscì da Confindustria. Siccome con il contratto collettivo specifico  (Ccsl) abbiamo avuto ragione noi della Fim-Cisl e Confindustria è dal 2009 che veleggia su altre strade, consiglierei un ripasso della storia delle relazioni sindacali in Italia.

Attacca la Cgil non rendendosi conto che, proprio in Fca, si prepara con il prossimo contratto il rientro della stessa che lo firmerà! Eccome se lo firmerà, come il Contratto nazionale del 2016, il più innovativo  e il peggiore mai firmato dai metalmeccanici, ma siccome anche la Fiom lo ha firmato… va bin parej!

Se Bonomi, rappresentante della piccola e media impresa, riconosce anche che enfatizzare il “piccolo è bello” è stato un errore imprenditoriale e bisogna sostenere la grande impresa per creare filiera – tesi che da sindacalista sostengo da qualche annetto – evidenziamo un’altra contraddizione.

A queste incongruenze confindustriali esternate dal nuovo presidente, a cui ricordiamo che dovrebbe citare anche la “buona” gestione del Sole 24ore, gli chiediamo cosa resta di novità, di idee nuove di questo novello condottiero, figlio di quel mondo imprenditoriale bresciano-bergamasco che tante cose dovrà, forse, dire anche sulla gestione del coronavirus, in nome del profitto, in quelle zone ad alto tasso di mortalità per cui la magistratura sta indagando.

Non ho letto nessun passaggio sugli investimenti, ma allora ha ragione chi dice che gli imprenditori vogliono socializzare le perdite e i licenziamenti, come accenna il novello, e incassare e/o tenersi in banca le rendite, “mettere le mani sui risparmi di imprese…”. Non una parola su industria 4.0, sulle filiere su cui puntare, non un lamento sulla mancanza di sostegno alla filiera dell’automotive, mentre Francia e Germania stanziano miliardi e, questo doveva riconoscerlo, che in Italia ”si dà cassa integrazione a tutti” a fronte di nessun licenziamento. Preconizza scenari, da agosto in poi, di licenziamenti massivi non si capisce se è un desiderio. Sembrerebbe così l’unica vera vecchia novità. Oppure è una preoccupazione. C’è la crisi: libertà di licenziare e poi assumiamo chi e quando ci pare ma assolutamente precari.

Avesse detto che se a aprile la produzione industriale era scesa del 44% e a maggio del 33%, recuperando un 10%, e che quindi occorre agire su ammortizzatori sociale e fare investimenti per attenuare nel tempo il gap, questa sì sarebbe stata una bella dichiarazione imprenditoriale. Ma come la storia insegna, con il petto in fuori non si sostiene il cervello.

Poi, il novello, strumentalizzando un po’, dice che le aziende reggono il peso dell’anticipo della cassa integrazione. Certo, ma lo fanno le grandi imprese che hanno le spalle larghe economicamente per farlo ma lui viene da un altro mondo: quelle delle imprese che la cassa integrazione non la anticipano, a volte per principio politico.

Insomma, da questa prima uscita emerge il profilo di un imprenditore che fa capire di avere esplicitamente votato Lega nel marzo 2018 e ora è deluso e vuole sostituirsi come Confindustria alla politica. L’idea antiquata e fallimentare ma pericolosa di un soggetto sociale deluso dai partiti e che vuole agire in prima persona. Temo fortemente che questa impostazione porterà, in un Paese in cui l’epidemia ha indebolito la sua struttura complessiva e rischia tensioni sociali del ceto medio, a un acuirsi dello scontro sindacale.

Rinasce l’idea padronale estremistica insita anche in una parte sindacale e mai tramontata, anche se Landini è uno stragovernativo, di stabilire chi “ce l’ha più duro”.

“All’armi, all’armi…”. Suggerisco questo nuovo slogan al “novello condottiero bunom”. E se invece usassimo il cervello come tanti imprenditori seri e operosi stanno facendo insieme al sindacato almeno dal 1993?

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