Frantumazione

Quattro ragazze, intervistate a Milano da una rete di quello che enfaticamente chiamano servizio pubblico, spiegano con acredine che fare gruppo significa riappropriarsi della città che per alcuni mesi ha visto solo adulti ed anziani in fila per ogni cosa. Quanto mai stolta la rappresentazione, ma lucida e sincera con il pregio di evidenziare una dicotomia generazionale impensabile solo negli ultimi decenni.

Una scomposizione sociale che accompagna conflitti di ogni ordine, ritenuti inesistenti o sopiti: governi regionali contro governo centrale, regioni contro regioni, nord contro sud, progressismo religioso avverso al tradizionalismo cattolico; o di antica data, magistrati contro politici, libertà imprenditoriale contro statalismo, impresa, sanità, scuola, pubblico contro privato, e così di seguito per sottolineare un'estensione vasta e complessa del livello di frantumazione della nostra quotidianità.

Si potrebbe ipotizzare che queste contrapposizioni siano riconducibili alla pluralità del pensiero politico, alle diverse visioni ideologiche e culturali, ma così non è, non vi è cittadinanza per articolate e allo stesso tempo compiute visioni del mondo, non vi è spazio per la speculazione intellettuale indirizzata alla comprensione della soddisfazione delle libertà individuali. Tutto è riportato alla politica del fare, fuori dalle ideologie, in nome del riformismo, del bene comune e della lotta alle disuguaglianze. Niente di più accattivante, di più melodico, di più universale, una solida costruzione sul piano della parola, ma effimera su quello dei contenuti.

Poco di nuovo se ricordiamo che già a partire dall'anno mille, al momento della consacrazione nella cattedrale di Reims, i Re di Francia promettevano solennemente al popolo di combattere iniquità e rapacità, assicurando misericordia ed equità. E' la dimostrazione che il valore della politica non risiede in un antico nuovismo che tante volte è solo storia dell'umanità.

Tralasciando altre concause, origini e motivazioni del nostro disorientamento, non solo politico, limitiamoci all'esigenza di riconsiderare il rapporto Stato-Regioni, alla luce di un confuso federalismo frutto della riforma del titolo V della Costituzione varata nel 2001. Il Paese da decenni è in affanno per ridurre il debito, per la semplificazione, per il contrasto alla corruzione e al crimine organizzato, per ridurre onnipresenza e costi partitici, tutti capitoli in perdita per l'azione pubblica, confusi ed inefficaci gli interventi, troppi i rivoli in cui si sono dipanati i pochi pur validi intendimenti partitici.   

Il moloch, ovvero il dio regione, è tra noi, certo per rimuoverlo larga penuria di alleati e grande contrarietà della politica, tanti gli interessi, gli usi e i costumi, crediamo però ampio consenso dei tanti che soffrono i nodi e le criticità del Paese e ancor più la sua frantumazione.

*Vincenzo Olita, presidente di Società Libera

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