Serve un piano per l'occupazione

La crisi ci dice che è necessario un cambiamento radicale del mercato del lavoro. Il sistema, creato a partire dai primi anni ’90 dando il via libera al lavoro atipico e precario, incentivando le partite iva e le startup, è finito con la pandemia del 2019. Le avvisaglie le avevamo già avute con la crisi economica del 2008, davvero mai finita. Invece oggi si discute con affermazioni del tipo: “Serve un bazooka per il rilancio dell’economia”, “togliete il divieto di licenziamento”. C’è qualcosa che non va tra i nostri industriali. Mi sembra di essere tornato a quando l’articolo 18 era l’ostacolo principe per l’evoluzione delle aziende. “Copiamo il modello Genova” e qui si associano imprenditori e fratelli-leghisti. “Meno burocrazia”  e sempre quelli di sopra pensano a levare i lacci e laccioli di antimafia, Durc e revisione Codice Appalti.

Il “bazooka”, termine alquanto improprio, è stato sparato ma certamente non poteva essere a pioggia e senza regole. Con un Pil di -8% nel 2020 e un primo semestre difficilissimo anziché il classico “chiagni e fotti” dovremmo guardare alle prospettive. E se il sistema industriale italiano non è in grado di reggere un semestre, certamente mai visto, allora dobbiamo chiederci su cosa si regge il sistema stesso. La ricchezza nelle banche non è certamente tutta dei piccoli risparmiatori; il rischio di impresa significa che chi sceglie di fare l’imprenditore deve sapere che deve metterci “anche” del suo capitale. Per fortuna non tutti sono come i “nostrani” imprenditori torinesi che ricoprono le più alte cariche dalla Camera di Commercio in su ma troviamo un Alberto Vacchi, bolognese, che valorizza il fiume di investimenti che l’Unione Europea sta mettendo a disposizione. Certo che se i  tuoi conti non sono a posto, se stai fallendo, se avevi già problemi prima non puoi prendertela con il Governo che non ti dà i soldi. Chi non ha gestito bene la sua impresa non può pensare di salvarsi con la pandemia e rivendicando soldi a fondo perduto. Si urla alla mancata erogazione della cassa integrazione per migliaia di lavoratori ma purtroppo devo dire che anche in periodi normali vi erano e vi sono tanti imprenditori e/o consulenti del lavoro che hanno difficoltà a compilare una domanda di cassa integrazione (confermato ancora dalle interviste di oggi sui giornali con iban sbagliati o mancanti) a cui si aggiunge, sicuramente, la difficoltà di Inps e alcune Regioni a gestire un flusso così alto di pratiche. Poi ci sono le Regioni che, forse, proprio per scelta hanno fatto poco o nulla allo scopo di creare problemi al Governo ma non hanno studiato il funzionamento dei meccanismi.

Il divieto di licenziamento, poi, occorre ricordarlo a certuni, è stato inserito perché il Governo ha garantito l’accesso alla cassa integrazione per tutte le tipologie di lavoro e ha erogato bonus per autonomi e tutte le altre forme di lavoro, tipo quello famigliare.

Torniamo al “chiagni e fotti”: soldi a fondo perduto, licenzio, uso la cassa. Ovvero uso due volte il sostegno del Governo e riduco la manodopera, poi aspettiamo la ripresa al calduccio.

Il modello Genova non è ripetibile perché l’opera di ricostruzione è stata realizzata da due grandi imprese e una star mondiale dell’architettura e noi siamo un Paese fatto prevalentemente di Pmi e viviamo un allarme infiltrazione mafiosa in aumento, dicono le fonti, del 10%. Dunque se accorpiamo “modello Genova” con le “innovative” richieste di meno burocrazia magari rivedendo il Codice Appalti, ecco che facciamo un bel favore a uno degli imprenditori più forti: la criminalità organizzata.

Da anni gli esperti ci spiegano che la risorsa umana è fondamentale nel sistema impresa, quindi anche la burocrazia funziona bene o male in base ad essa. Sicuramente va snellita ma partendo dai cavilli, dalle procedure, dai passaggi nelle varie competenze e soprattutto riformando lo Stato, ma certamente non partendo dallo smantellare le ultime conquiste sociali e di salvaguardia delle imprese dagli attacchi della criminalità.

Il presidente Conte farà gli Stati Generali, Colao presenterà i suoi sei punti, ma mi pare che tutti siano intenzionati a non cambiare nulla ma aggiungere nuove idee o iniziative che però non andranno mai lontano se non cambiamo o eliminiamo qualcosa del vecchio. Solitamente chi fa una soletta nuova su una casa vecchia alla prima scossa crolla tutta la casa. E dire che in Italia abbiamo tragici esempi.

La riforma del fisco diventa imprescindibile in questa fase per rendere il Paese più equo e progressivo ma ciò sarà possibile se si esce dal corporativismo di categoria o professione e pensando di più al bene comune.

Il Paese si riprende non solo salvando le imprese e le banche ma se diamo solidità e sicurezza alle persone. Solidità significa ricostruire uno Stato Sociale che si basi di nuovo sulla possibilità di salire la scala sociale, nello studio e nel lavoro; se mancano tanti ingegneri servirà pure “qualche” figlio di operaio laureato. Occorre ricostruire una Sanità pubblica che passa attraverso nuove infrastrutture e personale. Ma soprattutto il tema è il lavoro, non garantito, ma va rivisto il percorso di ingresso, eliminando una precarietà perenne perché questa è la vera crepa sociale che crea sfiducia, divario sociale, crisi d’identità, mancata crescita dell’economia. La certezza di un percorso sociale permette alle famiglie di spendere, investire anziché vivacchiare o dove si può risparmiare. Sennò rinnoveremo un sistema di assistenza con redditi di emergenza allargando sempre più il divario sociale.

Serve un Piano per l’Italia che abbia al centro l’occupazione stabile da cui discendono tutte le altre scelte sennò saremo sempre “chiacchiere e distintivo”.

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