Un piano concreto per Embraco

Sulla vicenda Embraco abbiamo già sentito di tutto e di più: dal ministro-sindacalista che prometteva un cappello Invitalia per tutti, ai molteplici e roboanti  progetti di Ventures, ai rimpalli con il Mise, sempre grillino nelle due versioni di governo gialloverde e giallorosso.

Poi dal Piemonte partono proposte. Quali non si è ancora capito. Insomma la Regione non sa che pesci pigliare, alcuni sindacalisti propongono la fabbrica di batterie, qualcun altro suggerisce di produrre mascherine. Ad ogni incontro in Regione l’assessore dice andiamo al Mise, il Mise rimanda alla Regione e intanto il tempo passa e nulla si risolve.

La fabbrica di batterie mi sembra una chimera industriale in quanto a livello europeo gli altri Paesi europei hanno già messo in atto finanziamenti, idee e progetti. L’Italia è al palo e Fca e Cnhi hanno già costituito le loro fabbriche di batterie a uso interno a Torino. I giochi mi sembrano fatti, senza l’Italia.

Sulle mascherine la Regione stessa mi pare abbia individuato e sbandierato i fornitori, in Piemonte, quindi mi sembra improbabile che ora possa aggiungersi un potenziale competitor. Dopodiché in ex Embraco sono ancora circa 400 persone, quante se ne occupano anche per produrre milioni di mascherine?

Tutti progetti velleitari, propagandistici e sognatori di chi non conosce molto la realtà industriale. Proviamo allora  a fare un passo indietro e cercare di ricordarci che l’unico proposta seria emersa nella prima parte della crisi veniva da una piccola azienda operante su un settore particolare e che indicava, stante le sue forze economiche e la ridotta  dimensione aziendale, una prospettiva alternativa. Prospettiva alternativa che prevedeva piccoli numeri, circa 50 addetti da assorbire, ma che se fosse supportata da aziende di grandi dimensioni potrebbe concretizzarsi.

Di cosa parliamo? Della possibilità di insediare un polo produttivo finalizzato al recupero, riciclo, rigenerazione di elettrodomestici, di tutti i tipi, da riparare e rimettere sul mercato. Chi dovrebbe presiedere a una operazione industriale del genere? Whirpool che da un lato deve “ripagare” con un’azione sociale e industriale la decisione della chiusura; dall’altra dovrebbe usare i soldi che Whirpool sta chiedendo indietro a Ventures e investirli in quel progetto. Terza questione, Whirpool creerebbe un mercato degli elettrodomestici più basso del suo con la vendita dell’usato e rigenerato che però in tempi di crisi ha sicuramente un mercato. Basta scorrere gli annunci economici dell’usato per capirlo. Quarta questione, la stessa Whirpool ha la sua rete commerciale per creare il mercato dell’elettrodomestico usato e rigenerato.

Qualcuno ha mai proposto qualcosa a Whirlpool oltre agli slogan? Cercando, stando agli slogan, di non ripetere quelli della vicenda della ex Pininfarina che, a forza di gridare “tutti insieme” da parte di qualche organizzazione sindacale, non se n’è salvato nessuno! Evitiamo slogan che “fanno presa” e consenso facile ma non risolvono nulla.

Tornando al concreto, Whirpool può essere il capofila di un progetto industriale di ripartenza graduale del sito di Riva di Chieri che deve vedere la partecipazione del mondo imprenditoriale torinese. Un progetto industriale e sociale perché partirebbe anche con il contributo di tutti i i Comuni con cui bisognerebbe concordare il recupero degli elettrodomestici portati agli Ecocentro. Un progetto di coinvolgimento dei cittadini a cui va spiegato che l’elettrodomestico va smaltito in modo che possa essere recuperato e rigenerato. In sostanza, questo progetto avrebbe la materia prima su cui lavorare praticamente gratis. Sarebbe un buon progetto di economia circolare. Di recupero del rifiuto, di riduzione degli sprechi. Un nuovo modello per fare industria, non competitivo per gli attuali segmenti di mercato e clientela Whirlpool ma anzi allargato alla platea che non si può permettere un nuovo acquisto ma può puntare all’usato rigenerato.

Ancora in questi giorni sento gli accorati appelli dell’Arcivescovo di Torino, che già tanto ha fatto per i lavoratori. Allora occorre che monsignor Nosiglia chiami a raccolta quei tanti operosi e laboriosi imprenditori che si ispirano al mondo cattolico e alle dottrine sociali della Chiesa affinché si uniscano, parlino e propongano a Whirpool questo progetto e si provi a trovare l’uscita da questa situazione così incerta e precaria per questi 400 lavoratori. Se poi qualche imprenditore non ispirato dalla Chiesa ma con il fiuto per fare un investimento da cui ricavare anche un profitto, insomma anche un capitalista puro, ben venga. Nessuno si offende purché si lavori per dare un lavoro a chi oggi non c’e l’ha.

Nel frattempo lasciamo nuotare nel mare dell’inconcludenza assessori vari, presidenti di Regione, la sindaca impegnata con il futuro del suo ombelico.

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