Ripartiamo dai "Punti Verdi"

Percorrendo i corsi cittadini sono ancora ben visibili i manifesti pubblicitari, di eventi culturali, affissi nel periodo pre-Covid. Saltano all’occhio le immagini di cantautori, gruppi musicali, artisti che danno appuntamento ai loro fan nei giorni in cui il Coronavirus metteva in profonda crisi i reparti di rianimazione.

Brunori Sas a marzo, Tribute band di Guccini in aprile, i Nomadi a maggio, Expocasa rinviato, pièces mai aperte al pubblico: una carrellata macabra, fotografia fedele di un lasso di tempo cristallizzato, immobile, degno di una pellicola cinematografica sul genere di “Io sono leggenda”. Quelle locandine sono la testimonianza granitica del lockdown, del confinamento in casa dei torinesi e di quel distanziamento sociale che ha messo i sigilli anche ai cinema e ai teatri: spettri che evocano le ansie e le angosce di marzo e aprile scorsi.

Da mesi il mondo dello spettacolo è fermo: annullata ogni programmazione, dopo l’emanazione dei Dpcm emergenziali, ad oggi non è possibile pronosticare quando si darà il via alla nuova stagione. Il Baretti e il Carignano hanno riaperto i battenti allo scoccare della mezzanotte e un minuto del 15 giugno (avvio ufficiale della “Fase 3”), ma sono molte le realtà incerte sul come e quando riproporre i loro cartelloni. Tra i cinema, il primo ad accogliere il suo fedele pubblico, nel pieno rispetto delle norme sanitarie, è stato l’Arco: storica sala a luci rosse.

La convivenza con il virus non è facile da gestire per coloro che operano nell’intrattenimento e nel settore culturale. Concerti e rappresentazioni hanno un denominatore comune, ossia il pubblico. Il Covid ha colpito duro la collettività, e non solo in termini di decessi e ricoverati: socializzazione, condivisione di esperienze culturali e momenti ludici sono stati messi al tappeto, e ora faticano a rialzarsi. Un confinamento necessario quanto doloroso, da cui difficile uscire. 

Il prezzo più alto di questo inevitabile blocco lo stanno pagando gli artisti professionisti e coloro che si dedicano all’arte in maniera amatoriale. Per i primi è questione di sopravvivenza, di mettere insieme il pranzo con la cena, mentre ai secondi sono negate le prove al chiuso, con il rischio che esperienze e comunità si disperdano per sempre: una situazione grave a cui non possono porre rimedio le dirette su Facebook o gli appuntamenti in streaming.

La Cultura non ha padrini e non è storicamente in grado di fare pressione lobbista su assessori e ministri. Il mercato si nutre di partite calcistiche e turismo, settori che si è deciso di far ripartire pur sapendo di correre parecchi rischi, mentre mette ai margini l’arte (tranne quando garantisce ghiotti incassi poiché data in pasto ai grandi eventi). Il potere economico può fare tranquillamente a meno di qualche compagnia teatrale o di musicisti che spesso si divertono a metterlo alla berlina, grazie a testi irriverenti o rappresentazioni blasfeme.

Come si è trovato il modo di mandare gli italiani in spiaggia (facendoli spennare dai chi occupa il litorale noleggiando ombrelloni e sdraio) e di portare avanti i campionati di calcio, così occorre sostenere il mondo dello spettacolo: aiutare artisti, associazioni culturali (ad oggi del tutto dimenticate) e imprese dello spettacolo che hanno salde radici nel territorio.

Mai come quest’anno sarebbe stata necessaria una riprogrammazione dei famosi “Punti Verdi” dell’epoca delle giunte Novelli (ideati dall’assessore Balmas). Sarebbe stato opportuno portare l’aria di vacanza in città, a disposizione di tutti coloro che hanno visto quel poco di reddito sfumare durante la quarantena, di chi non può permettersi un ombrellone a 45 euro al giorno (di strapagare un bene comune, quindi anche suo, per arricchire sciacalli di turno) o gite sulle Alpi. Offrire ai cittadini occasioni di svago nei parchi e nelle piazze, tramite appuntamenti che nulla avessero a che fare con gli eventi dai costi milionari, ma al contrario fossero parte della realtà artistica torinese.

L’estate dei cento cartelloni, uno per ogni spazio pubblico idoneo ad ospitare cittadini seduti e distanziati nel rispetto delle regole anti-Covid, dove i protagonisti avrebbero potuto essere i musicisti, i registi, i teatranti che attualmente sono in spasmodica attesa di un ingaggio: di una speranza per andare avanti e non dover rinunciare a sognare e far sognare, a vivere. Una boccata d’ossigeno per il mondo della cultura, che nulla avrebbe avuto a che fare con estemporanei sussidi o sostegni economici, somministrata tramite la riconquista delle serate all’aperto. Reddito per i professionisti dell’arte e occasione di ritrovarsi per i gruppi amatoriali.

Invece purtroppo tutto tace. Torino, come tutte le metropoli, è affidata al silenzio oppure ai musicisti di strada, attivi nei centri storici nei fine settimana (e fino alla nausea). La solitudine e la cultura negata saranno gli artefici di questi mesi estivi, proprio in un’epoca in cui l’arretramento del sapere e della curiosità attanaglia persone smarrite che credono nuovamente a favole raccapriccianti (narrate pure male dalla “malapolitica”).

La resistenza è quindi affidata solo alla rete, la stessa che fabbrica fake a tutto spiano e disinforma, oppure a situazioni extraurbane (quali le programmazioni nei forti di Fenestrelle e Exilles). La nuova comunità degli “isolati” clicca e ascolta senza alcuna interazione mentre le tante amministrazioni urbane (dai quartieri al comune) pensano a come tirare avanti sino alle prossime elezioni di maggio.

Uno spettacolo desolante che personalmente proverò a cancellare guardando il Dottor Lo Sapio, Mao e tutto il collettivo di Roba Forte su Facebook, ma che avrei voluto vedere live se qualcuno, tra coloro che hanno il potere, avesse osato andare oltre l’ordinaria amministrazione delle feste di via.

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