Ridurre l'Iva? Inutile

Tra le idee di questo governo per rilanciare l’economia, c’è quella della riduzione dell’Iva di un punto percentuale, nella speranza che ciò possa far aumentare i consumi. Una prima considerazione riguarda il rilancio dei consumi: da anni i governi italiani tentano la leva dei consumi, ma senza successo. Quota 100 e il reddito di cittadinanza andavano nella direzione dell’aumento dei consumi, ma non hanno avuto molto effetto sul Pil. Logica vorrebbe che se una soluzione non dà i suoi frutti se ne provi un’altra. In questo caso l’altra ricetta è quella di spingere sul lato dell’offerta, ovvero favorire gli investimenti delle imprese. Sarà stata la combinazione di più fattori, ma gli anni in cui il Pil è stato significativamente positivo sono stati quelli in cui erano in vigore agevolazioni come il superammortamento che favoriva gli investimenti in beni strumentali delle imprese. In un nostro precedente articolo illustravamo la legge degli sbocchi di Say in cui si afferma, semplificando un po’, che è l’offerta ha creare il proprio mercato (I consumi fanno davvero crescere il Pil?). Ma al di là degli approcci teorici è evidente che la ricetta dell’aumento dei consumi non ha portato buoni profitti. Sarebbe utile passare ad altre ricette.

Nel caso della riduzione dell’Iva è anche fortemente in dubbio l’efficacia nell’aumento dei consumi. Finora si è parlato di ridurre le aliquote Iva dell’un per cento. Percentuale che non si noterebbe nemmeno nella spesa di tutti i giorni. Ammettendo che le imprese riducano i prezzi esattamente della stessa cifra della riduzione dell’Iva e non è detto che lo facciano, ci troveremmo a risparmiare circa un euro ogni cento euro di spesa. Credo che si possa affermare con sicurezza che una riduzione del genere passerebbe inosservata e non provocherebbe nessun aumento dei consumi. Si potrebbero comprare una manciata di caffè in più al mese? Su una spesa mensile di 1000 euro si tratterebbero di 10 euro e su di una di 2000 sarebbe di 20. Bisogna però considerare che la spesa delle famiglie è frammentata in mille acquisti e alla fine, sempre ammettendo la riduzione dei prezzi, si tratterebbe di pochi centesimi di risparmio ad ogni acquisto, che come tale non sarebbe percepibile e pertanto non genererebbe nessun aumento di consumo. In ogni caso si tratterebbe di pochi euro per i redditi più bassi. Per assurdo potrebbe essere un vantaggio per le famiglie più abbienti con una spesa mensile importante che potrebbero risparmiare qualche decina di euro, ma sempre cifre piccole. È da chiedersi se le imprese trasformeranno la riduzione temporanea dell’Iva in una diminuzione dei prezzi. Ne dubitiamo. Si pensi ai tanti prodotti di un supermercato dal costo intorno all’euro e al fatto che l’Iva inciderebbe per circa un centesimo. Non crediamo che un venditore abbasserebbe il prezzo da 99 centesimi a 98 anche perché il consumatore non se ne accorgerebbe e in ogni caso non cambierebbe le sue decisioni d’acquisto per un centesimo. In uno studio citato da un articolo de “Il Sole 24 Ore” si evidenzia che diminuzioni temporanee dell’Iva in altre nazioni e ben più corpose dell’un per cento, si sono solo parzialmente trasformate in riduzione di prezzo. Il risultato è stato un aumento dei profitti aziendali. Il costo di questa generica riduzione dell’Iva è stimato superiore ai 7 miliardi.

Se si volesse ottenere un effetto significativo sui consumi si dovrebbero concentrare le risorse su un singolo settore con una riduzione significativa dell’Iva dell’ordine dei 10 punti percentuali, così sarebbe percepita dai consumatori che sarebbero spinti a maggiori acquisti. Per esempio una stanza d’albergo invece di 100 verrebbe a costare 90 e per una settimana ci sarebbe un risparmio di 70 euro, quasi una notte gratis. Un’auto invece di 10.000 euro costerebbe circa 1.000 euro in meno. In questo modo la riduzione avrebbe una qualche efficacia sui consumi, anche se come ogni intervento statale finirebbe per distorcere il mercato spingendo alcuni consumi e altri no. Se si passasse ad una riduzione dell’Iva sul settore turistico ciò spingerebbe i consumatori a fare maggiori spese in tale settore a scapito di altri. Una diminuzione dell’Iva generalizzata è un intervento neutro, ma poco efficace, una riduzione settoriale produrrebbe degli effetti sui consumi, ma introducendo delle distorsioni nel mercato.

Sarebbe meglio utilizzare quei 7 miliardi circa in altro modo. Per esempio con una decontribuzione per le nuove assunzioni, che garantirebbe nuovi posti di lavoro e nuovi consumi, o un ritocco delle imposte sui redditi che mettendo più soldi in tasca ai cittadini farebbe in ogni caso aumentare i consumi. Altra idea potrebbe essere quella di agevolare gli investimenti delle imprese, che sono comunque spesa e potrebbero favorire il lavoro per tutte quelle imprese che producono macchine e strumentazioni industriali assorbendo parte di quei lavoratori ora in cassa integrazione.

print_icon