Giocare in contropiede

Sarebbe un’occasione persa dal sindacato torinese non raccogliere l’appello lanciato dal neo presidente dell’Unione Industriale sul ruolo del sindacato stesso nell’affinare un migliore sistema partecipativo nei luoghi di lavoro e tra le parti sociali. Il sindacato non è un nemico delle imprese, vogliamo la stessa cosa, dice Marsiaj: il lavoro. Esatto.

Dal punto di vista culturale c’è ancora molta strada da fare sia tra le imprese, sia in parti sindacali e anche nel mondo intellettuale e culturale torinese. Ricordo quando Marco Revelli ci accusò come cislini di essere “collaborazionisti”, attraverso gli accordi sindacali, con la Fiat. Ecco se il mondo della cultura torinese raccogliesse questa sfida farebbe una grande dono sociale alla crescita di relazioni sindacali più “collaborative”, più partecipative. 

Per realizzare uno spirito partecipativo tra impresa e sindacato occorrono tempo e risorse; sicuramente le imprese devono rivalutare e porre di nuovo al centro del sistema relazionale il ruolo delle risorse umane. Oggi si leggono paginate di tesi, ricerche, proposte in cui esperti, sovente di ispirazione imprenditoriale ci dicono di porre al centro dell’impresa la persona. Salvo poi scoprire che non hanno nell’impresa il ruolo delle risorse umane. Anni fa dovetti affrontare un problema di discriminazione professionale in un’azienda, anzi un Gruppo, di alcune centinaia di addetti e la mia controparte era un’impiegata amministrativa perché la proprietà non riteneva necessario avere un capo del personale. La tesi: ci sono io, il padrone.

La persona al centro dell’impresa ha bisogno di una funzione che supporti tutte le politiche a favore del dipendente in funzione del lavorare meglio nell’impresa.

Un sistema collaborativo tra imprese e sindacati non passa attraverso una scelta centralizzata ma funziona se diventa scelta strategica da realizzare dentro le aziende, non a un tavolo centrale all’Unione Industriale. Allora su questo presupposto si possono mettere le basi per lavorare su come rilanciare il settore industriale nell’area metropolitana torinese.

Sorrido amaramente quando risento parlare di “patti”; ogni tre per due c’è chi propone un “patto”, se contiamo i “patti” annunciati e disattesi facciamo tre volte il giro del mondo.

Sdoganiamo il diesel. Questo è il primo passo per rilanciare l’auto in Italia e a Torino. Il monopattino lo usi la sindaca per andare a casa. Per rilanciare Torino e la sua area metropolitana serve un pesante intervento sui settori trainanti e condivido l’idea che gli incentivi all’auto devono servire per rinnovare il parco auto e soprattutto dei veicoli commerciali leggeri, obsoleto e inquinante.

Poi troviamo un docente universitario con molta pazienza che spieghi alla Regione, in particolare all’assessore al Lavoro, i fondamenti di economia politica e aritmetica. Pensare all’intervento pubblico a sostegno delle centinaia di imprese in crisi è una via di mezzo tra lo statalismo sociale della destra e le tendenze del confusionarismo sociale grillino con strizzatina d’occhi di una parte della sinistra. Ovvero un obbrobrio in cui le vittime, illuse a scopo elettorale, sarebbero i lavoratori. Ex Embraco docet, dove il susseguirsi di promesse, da Calenda in poi, hanno portato al nulla di concreto insieme alle azioni truffaldine di Ventures.

Stanziare 15 milioni dove ne occorrerebbero centinaia di migliaia è non avere la percezione della realtà di come funziona un’impresa. Serve dall’Ente locale la creazione dell’humus su cui poggiare l’azione dell’impresa, dopo vengono i soldi. Purtroppo la Regione non è stata in grado nemmeno di trovare e fornire i manager per realizzare il suo progetto. Vale quel detto che puoi avere delle scarpe bellissime ma se non sai allacciartele inciampi e cadi, facendo ridere tutti. Qui ci tocca piangere vista la situazione. Alle imprese serve sostegno infrastrutturale, velocità della burocrazia, finanziamenti di azioni che agevolino l’investimento e l’attrattività del territorio.

Il sindacato, che non può accontentarsi di una manifestazione ogni diciotto mesi, può riprendere insieme al sistema d’imprese un ruolo di rilancio, sapendo che i risultati non saranno né a breve, né facili da ottenere. Occorre lavorare per costruire due reti protettive. La prima difensiva per evitare traumi occupazionali; la seconda espansiva per aggredire la crisi pandemica.

Difensiva: ridurre l’orario per evitare licenziamenti anche con interventi parziali sul salario da contrattare tra le parti.

Espansiva: sempre in tema di orari affrontare anche contemporaneamente riduzioni di orario e straordinari laddove ci sono commesse e ordini.

Flessibilità sindacale in cambio della tutela dell’occupazione. Nel lontano 1995, durante la vertenza Alenia a fronte dell’obiettivo aziendale di chiudere Torino riuscimmo contemporaneamente a scioperare e a fare straordinario nel reparto Boeing per tutelare la commessa. 

Focalizzarsi sul cuore industriale dell’area metropolitana che rimane l’auto, elaborando una strategia di filiera pronta dal punto di vista tecnologico a mantenere e sviluppare l’indotto auto dentro la fusione Fca-Psa ma capace, come lo è già, a essere un indotto mondiale dell’auto non solo manifatturiero ma anche nel campo progettuale, elaborativo, digitale; insomma, pensare l’auto del nuovo millennio. 

Dobbiamo giocarci le nostre storiche capacità contropiediste. D’altra parte cadiamo con i piccoli, con il Cile nel 1962, con la Corea del Nord nel 1966 ma con la Germania abbiamo sempre vinto quando contava. Facciamolo anche nell’industria e non solo nel calcio, ne siamo capaci.

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