LAVORARE DA CASA

Smart working, in Regione è stato un mezzo fiasco

Lo affermano i dirigenti dell'ente in una valutazione: criticità superiori ai benefici. L’assessore Gabusi conferma: "Prediligiamo il lavoro in presenza". Ma per i vertici amministrativi del Consiglio il giudizio s'inverte. Sindacati all'attacco

Il lavoro da casa? Per la Regione Piemonte non è poi così smart e i benefici sono certamente inferiori rispetto alle criticità. Almeno per i dirigenti in capo alla Giunta, che peraltro danno un giudizio discordante rispetto ai colleghi del Consiglio. Una differenza di giudizio sulla quale i sindacati vogliono dei chiarimenti, a partire da Luigi Serra (Csa) che ha chiesto un’audizione in Prima Commissione: “Non vorrei che certe valutazioni fossero frutto di una volontà politica di boicottare il lavoro agile” è l’insinuazione.

È quanto emerge da un questionario sottoposto dal Dipartimento della funzione pubblica del Governo per monitorare l’attuazione dello smart working nelle Pa che serve anche per comprendere come i vari enti hanno affrontato l’emergenza. La principale criticità con cui i mandarini di piazza Castello si sono scontrati riguarda la carenza di competenze digitali dei dipendenti che in una scala da uno a cinque valutano quattro, cioè quasi il massimo. Un impatto tutt’altro che trascurabile  l’hanno avuto anche la carenza di strumentazione informatica e dei servizi di connettività (tre su cinque), mentre sono da considerarsi marginali eventuali difficoltà nella gestione della sicurezza dei dati. Ma ancor più mortificanti, per i dipendenti, risultano i giudizi sui vantaggi dettati dal lavoro da casa che non avrebbe prodotto alcun miglioramento dei servizi e men che meno un incremento della produttività (uno su cinque nella solita scala di valori). Un impatto di poco superiore lo avrebbe avuto sull’organizzazione, sulla maggior responsabilizzazione dei dipendenti, sulla riduzione dell’assenteismo e persino su un taglio dei costi (due su cinque). L’unica voce positiva riguarda la possibilità di conciliazione vita-lavoro dei dipendenti (quattro su cinque). Insomma, una bocciatura senza appello?

“Il nostro pensiero è che il lavoro da casa non è ciò che va adottato in modalità ordinaria – spiega l’assessore al Personale Marco Gabusi –. Si tratta di una scelta politica volta a valorizzare il lavoro in presenza anche per salvaguardare le attività economiche che sopravvivono grazie ai tanti lavoratori della pubblica amministrazione”. Il riferimento è ai bar e ristoranti (ed esercizi commerciali in genere) che gravitano attorno agli uffici pubblici e che già risultano fortemente provati dal lockdown.

Dei 2441 dipendenti in capo alla giunta regionale, 1.561 hanno iniziato a lavorare da casa già nelle prime due settimane di marzo, passando nella seconda metà del mese a 1.946, fino a raggiungere ad aprile il culmine a 1.993: oltre l’80 per cento del personale totale. Basti pensare che nell’ultimo mese di lockdown le giornate di lavoro agile usufruite dai dipendenti sono state 36.225. Secondo le disposizioni del Governo fino alla fine del 2020 la metà del personale dipendente continuerà a prestare servizio lontano dal proprio posto di lavoro, ma quando l’emergenza sanitaria sarà conclusa ogni amministrazione potrà decidere come regolarsi. E se il Comune di Torino sembra aver valutato positivamente gli effetti dello smart working, la Regione Piemonte vira verso la direzione opposta: “Prediligiamo il lavoro in presenza” taglia corto Gabusi.

Lo stesso test ha dato esito differente per i 272 dipendenti del Consiglio regionale. Benefici altissimi in particolare nella riduzione dei costi e nella responsabilizzazione dei lavoratori e criticità più contenute. Perché giudizi tanto discordanti?

Leggi il questionario sui dipendenti della Giunta

Leggi il questionario sui dipendenti del Consiglio

 

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