GRANA PADANA

La Lega non esiste più, ora è il partito di Salvini

Addio a Nord, federalismo, autonomismo, radicamento territoriale. In questa formazione nazionale, sovranista e centralista non c'è spazio per la vecchia guardia padana. Una metamorfosi che per molti è tradimento delle origini. L'atto d'accusa degli ex

Mai visto tanta gente tanto contenta a un funerale. Perché oggi, con la chiusura del tesseramento, più che il battesimo della già in età da marito Lega Salvini Premier si celebrano le esequie della Lega Nord, la forza politica nata dalla geniale mente di un visionario di Cassano Magnago nel 1989 e, ormai, imbalsamata da quando Matteo Salvini, successore indiretto di Umberto Bossi, ha trasformato il movimento federalista e indiscutibilmente nordista in un partito sovranista e nazionale.

Ma ai bordi della piazza c’è chi il groppo alla gola ce l’ha. E pure un rospo grosso così. “Io non ho cambiato idea, è la Lega che mi è cambiata tra le mani”. Per altri della vecchia guardia come lui, Roberto De Magistris, ex consigliere regionale e già vicesindaco di Verbania che ha lasciato il partito un paio d’anni fa dopo uno scazzo con il Capitano, la data vera in cui la “Lega vera” è finita non è oggi, ma va spostata un bel po’ indietro. E raccontata come non piace proprio a chi è pronto a festeggiare i centomila iscritti anticipati ieri da Salvini con la promessa di raddoppiarli, con l’online, entro fine anno.

“Salvini finalmente esce dall’equivoco, avere un nome Lega Nord quando da tempo il partito è nazionale e centralista”, sostiene Luca Bona, espulso nel 2016 con la sola astensione del Senatur dopo la lunga e dura battaglia all’interno della Lega novarese e ancor più per aver sostenuto Gianna Gancia nel congresso da cui per ferma volontà ed efficace intervento di Salvini uscì segretario regionale Riccardo Molinari. “Un equivoco che ha fatto male alla questione settentrionale e al movimento autonomista. Purtroppo il Nord è ufficialmente alla ricerca di una propria rappresentanza politica”.

I tentativi ci sono stati e in parte proseguono, con il Grande Nord e altri soggetti che, però, come tocca ammettere all’ex parlamentare a Roma e Bruxelles Tino Rossi “purtroppo sono falliti”. L’ex leghista alessandrino che allevò il giovanissimo Molinari allarga le braccia: “Ci abbiamo provato, ma come sempre ci si divide in mille rivoli, non si riesce a stare insieme. Si è cercato di mettere insieme tutti i movimenti, ma si continua a litigare. Non c’è un nuovo Bossi, lui era stato capace di farlo”.

Raccontata così, con un’altra figura che ha fatto un pezzo di storia della Lega bossiana in Piemonte come l’ex sindaco di Acqui Terme Dino Bosio a dire sconsolato che “mi hanno espulso quasi dieci anni fa e non mi hanno più fatto rientrare, pazienza. Voto ancora Lega perché non c’è altro”, sembra una mesta riunione di ex combattenti e reduci, con tanto di spilletta, l’Alberto da Giussano con lo spadun di quando era “prima il Nord” e col tricolore qualcuno diceva di volersi… vabbè.

Sembra e piacerebbe alle truppe del Capitano fosse solo così. Ma quei mancati rinnovi dell’iscrizione su cui Salvini glissa e Molinari rinvia ai dati conclusivi del tesseramento, potrebbero essere l’ombra del Carroccio ormai abbandonato che offusca un po’ la grande festa. Centomila contro le 75mila dell’anno scorso: le tessere sono cresciute, fino a ieri, tanto che se pur qualcuno non l’ha ripresa chi se ne importa.

I numeri non mentono, però possono anche nascondere segnali come quelli che indicano un Nord sempre più aggrappato al modello Veneto e al suo governatore Luca Zaia, perché non è che puoi cambiare dall’oggi al domani da federalista e autonomista in sovranista centralista, “e se l’immigrazione è un problema, non si può puntare solo su quello”, come spiega Michelino Davico, ex parlamentare, inventore del Giro della Padania, pure lui uno che la Lega se l’è lasciata alle spalle quando ha visto che non era più quella che ha avuto davanti per tanti anni. “La Lega è finita da tempo. Si sono persi i valori per cui è nata, il federalismo, la lotta agli sprechi, la piccola e media impresa e si sono persi i territori per una scelta esclusivamente di potere e di leadership. Le lotte interne hanno fatto il resto e spianato la strada a Salvini, uno tutta propaganda e niente politica”.

Pezzi importanti anni fa nella Lega piemontese, pezzi che il salvinismo si è lasciato lungo la strada senza voltarsi, problemi in meno. “Salvini mi aveva fatto promesse che poi ha disatteso completamente sui candidati. Avevamo scelto e votato i nomi dei candidati per le politiche del 2018 nelle sezioni, ma poi ha deciso lui e ha messo chi ha voluto lui. L’ho mandato a quel paese e mi sono dimesso quattro minuti dopo la chiusura dei seggi”, racconta De Magistris che ne ha pure per come sono andate le cose alle regionali: “Ho incominciato la guerra con Enrico Montani dopo vent’anni insieme, perché voleva mettere segretario provinciale Alberto Preioni che adesso fa il capogruppo in Regione. Ma ci stupiamo? Le liste le hanno fatte con amici, parenti, fidanzate, segretarie e amiche delle segretarie”.

È rimasto sempre fedele e vicino a Roberto Cota, De Magistris. Ma all’ex governatore imputa l’essere “una persona troppo fiduciosa nel prossimo, non ha azzeccato mai una scelta delle persone, lo hanno fregato tutti”. E Salvini, come racconta lo stesso ex presidente, quando è scoppiato lo scandalo delle mutande verdi “non solo non mi ha difeso, ma si è servito di quella vicenda grottesca per cambiare gli equilibri interni in Piemonte. La Lega mi ha lasciato solo, dov’erano i leghisti?”. Prima di Cota al vertice della Lega piemontese c’era stato Bosio, tutti e due non sono più nel partito.

Un partito che a differenza di quello Veneto una sua autonomia non è mai riuscito ad averla. “La lega del Piemonte ha sempre cercato di brillare di luce riflessa da qualcun altro, soprattutto dalla Lombardia. Ci sono stati – ricorda Bona –  e ci sono ancora ruoli importanti in Parlamento, ma in via Bellerio si dipendeva sempre da loro”. Mica come nel Nord Est. “Quando entravi al ministero dell’Agricoltura e il ministro era Luca Zaia sentivi i dirigenti parlare tutti in veneto”. Ecco, Zaia resta la poi non così segreta speranza per quei leghisti-nordisti-federalisti ormai senza tessera da anni o con più di un dubbio se accontentarsi di quella “figurina” che rappresenta ormai la bad company data in omaggio con l’iscrizione al partito di Salvini.

Il vento, soprattutto economico, del Nord porterà insieme ai risultati delle regionali dove il Capitano deve arginare l’avanzate dei Fratelli d’Italia qualche cambiamento, oppure celebrato il funerale della Lega che fu, agli ex combattenti e reduci non resta che l’omaggio alla memoria di quello che il Senatur chiamava “il militante ignoto”?    

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