Quanta ipocrisia nel piangersi addosso

Agosto è stato caratterizzato da due aspetti principali sui temi del lavoro: la decisione di Fca-Psa di produrre i futuri modelli del segmento B su piattaforma Psa e le “conservanti” bordate di Bonomi contro tutti, visto che anche in Confindustria, c’è chi segue una strada diversa dalla sua.

Intanto è utile ribadire che Fca, sul segmento B, produce  solo più la Lancia Ypsilon in Polonia, quindi di fatto non dismette nulla in Italia e i futuri modelli Panda “componibile”, che non è più paragonabile all’attuale Panda del segmento A ma più verosimile a una Grande Punto o Grande Panda, avrà base in Polonia dove operano molte imprese dell’indotto automotive piemontese e nazionale.

Allora proviamo a ribaltare la prospettiva, ricordando che già con l’acquisizione di Chrysler il messaggio lanciato all’indotto da parte di Fca è stato: vogliamo che siate presenti su tutti gli “spicchi” del globo: America Latina, Europa, Asia, Nord America. È stato raccolto quel messaggio inviato più di dieci anni fa?

Piangersi addosso aspettando che ti portino il lavoro sottocasa, non sapersi diversificare, investire, aggiornarsi sono tutti temi su cui quotidianamente gli imprenditori dichiarano ma quanto poi realizzano di ciò? Se ascoltiamo Bonomi e la sua “rivoluzione” si riassume in due concetti: taglio delle tasse e niente soldi sui contratti.

Nel 2018 solo il 42% delle aziende piemontesi automotive dichiarava di avere adottato una misura Industria 4.0 e come fattore di ostacolo il 29,9% indicava “la cultura aziendale e la capacità di valutazione delle opportunità”. Quindi non ci sono molti commenti da aggiungere.

Forse bisognerebbe uscire dalla logica del viaggiare con gli occhi incollati allo specchietto retrovisore e prendere atto che Fca in Italia, con una strategia confermata anche in tempi di Covid, per non correre dietro alle mode, anche tragiche, è Paese con assegnazione di produzioni di modelli di alta gamma con alto valore aggiunto di profitto, Suv con alimentazioni miste e elettriche.

I dati ci dicono che nel 2013 in Italia il 49% delle immatricolazioni erano utilitarie e il 19% Suv e Alta gamma mentre nel 2020 (gen-lug) il 37% sono utilitarie e il 43% Suv e alta gamma.

Se si capirà che, certo esiste un problema di volumi produttivi e occupazionali ma questi sono molto più legati alla capacità di creare valore da ciò che si produce anche per ridistribuirlo ai lavoratori, piuttosto che vincolati a alti volumi e bassi profitti.

Allora l’imprenditoria metalmeccanica torinese oggi deve domandarsi se ha lavorato per essere un indotto legato alle attuali scelte di Fca sui segmenti di alta gamma o è rimasto ancorato alle vecchie produzioni. Tanto indotto Maserati è ancora nel modenese. Inoltre, l’indotto torinese è diventato multinazionale o è rimasto local?

La risposta è nei dati, 2018: i mercati esteri per fatturato sono al 91.2% in Emea, 1.9% in Latam, 4.6%  in Nafta e 2.3% in Apac. E gli investimenti per il 67% in Emea. 

Questo dato ci dimostra però che se siamo molto concentrati in Europa abbiamo anche le capacità per affrontare la sfida con l’indotto Psa per il segmento B e non solo? Direi di sì.

Quante aggregazioni “piemontesi” ci sono state nell’indotto automotive negli ultimi dieci anni? Quante filiere, quanto sistema imprenditoriale torinese si è creato? Direi poco.

Il 71% (dato 2109) delle imprese non appartiene a un Gruppo, del 29% delle imprese che appartengono a un Gruppo il 20% è italiano.

Forse è anche in questo il problema: quando ci fu l’acquisizione di Chrysler il dibattito era che avremmo dovuto misurarci con l’indotto Usa, ora dobbiamo confrontarci con l’indotto francese molto più narcisista.

Ma la capacità  e direi soprattutto la volontà imprenditoriale torinese di aggregarsi è ancora molto bassa, anche da qui risalta la nostra debolezza in un settore in cui, in realtà, nonostante tutte le problematiche siamo capaci, competenti e professionali. Tre risorse industriali che dovrebbero essere accompagnate da più strategia e marketing di mercato coordinato.

Oltretutto Francia, Germania e Polonia sono i tre Paesi in cui esportiamo di più. Le capacità  e potenzialità professionali ci sono, occorre rimboccarsi le maniche e non lamentarsi. E magari chiedere alle Istituzioni locali  di occuparsi di uno dei principali core business del territorio ma questa è una battaglia persa in partenza.

Invece al “nostro” rivoluzionario di viale dell’Astronomia, Roma, vorrei ricordare che un Contratto con quasi zero aumento salariale lo hanno già fatto i metalmeccanici nel 2016 ma sulla parte relativa al welfare e sanità integrativa c’era “tanta roba”. Ora la domanda è semplice: Bonomi è disponibile a contratti con inflazione zero ma erogando consistenti quote di welfare? Oltre 300 euro nel 2016.  A sostenere una battaglia con il Governo, non solo e sempre per se, ma per avere Contratti aziendali con aumenti detassati per i lavoratori?

Pongo solo due semplici domande. E inoltre vorrei ricordargli un po’ di storia delle relazioni sindacali in Italia. I patti firmati tra le parti sociali spesso non hanno funzionato o hanno funzionato solo per alcuni e possiamo risalire sino al 1993. Quasi solo i metalmeccanici con l’accordo del 1993 e poi il Patto per l’Italia del primi anni Duemila seguirono le regole, anche rompendo l’unità sindacale, del rapporto tra inflazione programmata e reale. Molte categorie d’accordo con le imprese, aderenti a Confindustria, continuarono  a firmare contratti nazionali con aumenti slegati dall’andamento inflattivo. Uno dei casi più eclatanti fu proprio il rinnovo dei chimici mentre Squinzi era presidente di Confindustria. Contraddizione in seno alle imprese, direbbe il Condottiero. Ma soprattutto gli alimentaristi è stata e la conferma è l’attuale accordo con Barilla e Lavazza capofila, una delle categorie che spesso non ha rispettato i parametri degli accordi tra Sindacato e Confindustria erogando cifre superiori.

Allora il rivoluzionario Bonomi si sta trovando di fronte al fatto che la sua “rivoluzione” è prima di tutto una “guerra civile” in casa sua. Se il generale non sa fare rispettare le regole prima di tutto tra le sue truppe indisciplinate difficilmente ha l’autorevolezza per dettare regole agli altri.

Con un’appendice “furbesca”, perché tutti sanno che quando le categorie imprenditoriali concedono aumenti superiori all’inflazione solitamente si sono portati a casa qualche decurtazione sui diritti sindacali, sugli orari, sulle maggiorazioni ma questo va bene anche a Bonomi e a tutti i Presidenti di Confindustria che l’hanno preceduto. O si è coerenti o si è ipocriti, scegliere per favore.

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