Un No più motivato

Chi l’avrebbe mai detto? Se appena qualche settimana fa, complice la dura e drammatica emergenza sanitaria, il tema del referendum sul taglio dei parlamentari era del tutto irrilevante nonché nascosto – anche perché il Parlamento per oltre il 90% aveva votato per il drastico taglio dei deputati ed senatori – inaspettatamente, e forse anche un po’ misteriosamente, è decollato un dibattito politico, culturale, programmatico e anche costituzionale che ha ribaltato le attese della vigilia.

Certo, saranno poi sempre le urne a dirci come le cose stanno realmente. Ma, comunque sia, il clima è radicalmente cambiato rispetto alle scontate aspettative. Il populismo, la demagogia, l’antiparlamentarismo e la contrarietà alla democrazia rappresentativa interpretati quasi esclusivamente dal partito dei 5 stelle sta registrando una forte battuta d’arresto. Complice il ripensamento di molti partiti, a cominciare da settori crescenti del Pd che, malgrado il radicale cambiamento di rotta di quel partito sul tema specifico per motivazioni di governo e quindi di puro potere, il No è diventato una corrente di pensiero, politica e culturale, che attraversa orizzontalmente la politica italiana. Dal cattolicesimo democratico e popolare a settori consistenti della sinistra, dal pensiero liberale a segmenti della destra democratica, dalle forze centriste - seppur deboli e disperse - a moltissimi esponenti del mondo intellettuale ed accademico e alla stragrande maggioranza dei costituzionalisti. Nonché ad alcuni grandi organi di informazione.

Insomma, si può tranquillamente dire che il No, dopo un iniziale letargo, si sta ritagliando un ruolo politico importante e forse anche decisivo in vista dei futuri equilibri politici e di governo. Ma, quel che più conta, al di là dello stesso risultato finale, è che il No appare ormai un voto politicamente più motivato, più appassionato, forse addirittura più militante.

Perché dietro al No, seppur comprensibilmente in uno schieramento trasversale come del resto impone la disputa referendaria, c’è una comune visione della democrazia, delle istituzioni, del ruolo e della funzione del Parlamento. In una sola parola, della concezione dello Stato democratico come disegnato e concepito dalla Costituzione. Certo, poi esiste anche un voto “contro” come è sempre capitato per tutti i referendum. E, nel caso specifico, contro il progetto politico del partito dei 5 stelle. O meglio, contro la deriva populista, antiparlamentare e contro la democrazia rappresentativa incarnata per eccellenza dal movimento di Grillo. Ma, al di là di questo aspetto, che tuttavia esiste e sarebbe inutile negarlo, la crescita esponenziale del No resta un dato nuovo e del tutto inatteso almeno sino a qualche settimana fa. Ma, com’è altrettanto ovvio ed evidente, va pur detto che esiste una larghissima maggioranza di italiani – frutto della massiccia e martellante predicazione politica e giornalistica di questi ultimi 20 anni orchestrata dalla quasi totalità degli organi di informazione – che individua nel Sì lo strumento decisivo per ridurre i costi della politica. E quindi, e di conseguenza, gli spazi democratici e della stessa democrazia. In virtù del principio populista, demagogico e antiparlamentare che la democrazia è un costo. E quindi da tagliare e da ridurre drasticamente.

Ora, saranno le urne a dirci come stanno realmente le cose. A cominciare dal tasso di partecipazione dei cittadini ai seggi. Ma un dato politico è ormai certo. Le previsioni e le stesse attese della vigilia sono radicalmente saltate. E il No, ormai, è diventato un voto fortemente politico e culturale. A cominciare dalla mia area politica, il cattolicesimo democratico e popolare italiano.

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