Bruciare rifiuti e promesse

Settembre, nell’immaginario collettivo, raffigura il confine tra la spensierata estate, seppur quest’anno non in termini assoluti, e il ritorno allo stress della quotidianità invernale. Oggi faccio la mia parte nel far ripiombare il lettore dentro i cupi affanni di sempre, poiché ritorno tristemente sui temi della politica e delle privatizzazioni. Lo spunto di riflessione arriva purtroppo da Torino: la causa scatenante è la proposta estiva, approvata nel mese di luglio dalla Sala Rossa, di vendere le residuali quote pubbliche dell’inceneritore cittadino nonché delle farmacie comunali.

Nel 2012 Il sindaco di Parma Pizzarotti, appena eletto, si scontrò immediatamente con la dura realtà. Malgrado la sua posizione nettamente contraria agli inceneritori, espressa ripetutamente in campagna elettorale, il primo cittadino si trovò in una imbarazzante condizione di impotenza innanzi al cantiere del “termovalorizzatore”, avviato dalla società Iren nella passata amministrazione. Tale debolezza contribuì al suo allontanamento dal M5s. Malgrado lo scivolone iniziale, Pizzarotti è a tutt’oggi sindaco di Parma, uno dei comuni italiani con le migliori prestazioni nella “corretta gestione rifiuti” (al punto che il mondo ambientalista lo cita come esempio virtuoso). L’inceneritore è stato affiancato da un’efficace campagna di conferimento differenziato degli scarti domestici, utile a bruciare meno materiale possibile.

Pure nel programma elettorale dei pentastellati torinesi (comunali del 2016) era ben evidenziata la piena contrarietà verso la struttura di incenerimento del Gerbido, ma nei primi 4 anni di amministrazione la giunta, espressa dal Movimento in seguito alla sua schiacciante vittoria su Fassino, non ha mai preso alcuna posizione di reale contrasto nei confronti dell’impianto. L’esecutivo comunale al contrario ha accettato la svendita dei volumi discarica in termini di salvaguardia in caso di lunga inattività del forno.

Gli stessi dati inerenti la raccolta differenziata non sono confortanti per il capoluogo piemontese. Nei primi tre anni di amministrazione 5 Stelle la percentuale di differenziazione dei conferimenti casalinghi è rimasta ferma al 42% circa (percentuale simile al valore rilevato all’epoca Chiamparino). Solo di recente Amiat (il cui 80% delle quote è in mano a Iren) ha finalmente presentato un piano idoneo a completare il sistema “porta a porta” dei conferimenti in tutta la città. Ad oggi sono serviti 600mila torinesi su 800mila, ma l’obiettivo di raggiungere il 65% di raccolta differenziata è purtroppo ancora molto lontano.

Un rallentamento che la “Consulta cittadina per l’ambiente ed il verde” e l’associazione “Pro Natura” hanno tentato di superare elaborando un piano alternativo a quello Amiat. Azione priva di effetti pratici, malgrado l’iniziale interesse dimostrato dall’assessore competente. Un’occasione persa che si va a sommare alla scelta attuata dal Comune di vendere il 3% delle proprie quote Iren alla città di Genova, la quale è diventata di conseguenza il socio pubblico di maggioranza (Genova possiede il 18,85% delle quote contro il 13,80 detenuto da Torino).

La lenta uscita del comune di Torino da Iren si accompagna all’ineluttabile privatizzazione di Trm (società di Trattamento Rifiuti Metropolitani), di cui la Spa dell’energia conserva l’80% di partecipazione azionaria. Infatti con l’ulteriore messa sul mercato del 17,36% della società che gestisce l’inceneritore piemontese, Torino possiederà solamente una quota minoritaria di Trm (1%). Situazione sociale paradossale, poiché ribalta le tante rassicurazioni delle amministrazioni Democratiche sulla vocazione pubblica dello stabilimento del Gerbido.

Segnali di quanto stava avvenendo erano ampiamenti visibili nella decisione della Città di non nominare il presidente e un componente del consiglio di amministrazione Trm, malgrado fosse doveroso farlo a causa del diritto di nomina sancito dallo statuto societario.

L’assalto alla carovana pare senza fine. La cronaca recente riporta all’attenzione dei torinesi la cosiddetta “questione Pinerolo”. Il consiglio comunale pinerolese con delibera (non condivisa dai revisori dei conti), ha approvato la proposta di accedere a un prestito bancario al fine di acquisire almeno il 2% della Trm, così da poter superare Torino nello status di socio pubblico di maggioranza. Iniziativa emulata da altri comuni, nonché da vari consorzi, con il miraggio di poter trarre vantaggi detenendo quote superiori a quelle in mano al capoluogo regionale.

In sintesi, il comune di Torino alienando l’80% di Trm porta a termine l’operazione iniziata dalla precedente giunta Fassino, chiamandosi di fatto fuori dalla gestione dei rifiuti torinesi. Vale la pena ricordare come Iren sia una società per azioni, il cui scopo è principalmente quello di garantire cospicui utili ai propri soci/azionisti (pubblici o privati essi siano). Il termovalorizzatore esce quindi da una visione pubblica di gestione per accedere a quella più spregiudicata del libero mercato.

Anni addietro il vicesindaco (Calgaro) aveva fatto una solenne promessa alle circoscrizioni di Torino Sud e ai cittadini preoccupati per l’individuazione a sorpresa del sito in cui collocare l’inceneritore. L’assessore dell’esecutivo Chiamparino aveva dichiarato in più occasioni di voler mantenere il controllo comunale dell’impianto (a garanzia della salute collettiva, inceneritore quale servizio e quindi bene comune): un buon proposito oramai archiviato sotto la voce “Che senso ha votare, per un militante di sinistra”.

Il profitto domina sempre, costantemente, le dinamiche politiche, a scapito dei diritti delle comunità e della salute dei cittadini. Il Covid19 ha drammaticamente indicato alle istituzioni la strada da perseguire, ma il privato pare non voler minimamente rinunciare al mantenimento del suo primato sulle istituzioni. Agli elettori rimane solo il rito della lamentela (a volte subendo le conseguenti ritorsioni del Potere) e il dovere di pagare le bollette ma senza fiatare.

L’inceneritore continua a bruciare rifiuti e soprattutto promesse.

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