La scuola del buonsenso

Con l’inizio della scuola abbiamo visto la realizzazione concreta della politica del buon senso. Purtroppo però non è stata rappresentata ed esercitata da chi dovrebbe farlo: i politici, aiutati da molti opinionisti, talk show e mass media. Hanno vinto gli studenti, gli insegnanti, il personale tecnico. Insomma la politica del buon senso l’ha praticata che vive sul campo, chi è nella scuola tutto l’anno, chi conosce i problemi. La ministra Azzolina, si è “sbattuta” ma non ha capito che tacere, parlando quando e solo se necessario, in politica (quella vera) è importante come il fare.

Un discutere assordante che mi ricorda tanto la giornalista del telegiornale della Corea del Nord ai tempi della crisi tra le due Coree. Nel frattempo il personale docente e tecnico, insieme a molti studenti lavoravano per fare in modo che la scuola riprendesse il suo ruolo fondamentale: essere un luogo in cui si studia, ci si forma ma soprattutto si impara a socializzare, a stare insieme, a fare società convivente, a relazionarsi. Un luogo dove cominciano a formarsi le personalità e le caratteristiche che ci aiuteranno e  indirizzeranno nelle scelte della vita.

Quanti di noi ricordano ancora i propri insegnanti? Tanti, e anche dopo anni capiamo che ci hanno dato e lasciato qualcosa per andare avanti.

Nonostante un ministro come Gelmini, che oggi pontifica sulle scelte della Azzolina (bella battaglia neh!), ieri è stata una delle artefici della distruzione scolastica in Italia; l’ultima di una serie di ministri, comunque. Tagli dei finanziamenti, dei docenti e personale scolastico, sostegno alle scuole private con una sequela da fare impallidire i film di Tarantino. Ho visto, al netto di una percentuale molto minoritaria ma che fa male alla categoria degli insegnanti, lavorare tutti con impegno ma soprattutto ingegno, spirito di collaborazione, coinvolgimento degli studenti. Forse anche per questo la parte sana, che è la stragrande maggioranza del corpo docente e tecnico, dovrebbe essere capace di “rigurgitare” dal proprio corpo, come elemento estraneo, quelle componenti che invece difendono solo i privilegi e i diritti dimenticando i doveri e rovinando la reputazione complessiva di una categoria che ha dimostrato di essere Paese, di essere lo Stato sul territorio.

La politica e gli opinionisti hanno discusso fino alla nausea di problemi che, soprattutto gli studenti, hanno risolto nella spensieratezza, nell’intelligenza della loro beata gioventù. Come entrare in classe, come stare in classe, come socializzare lo dovevano spiegare vecchi tromboni a dei giovani che sono sempre un po’ più avanti con la loro voglia di vivere  e “mille idee in un minuto”?

Il ritorno a scuola, in classe, non on line, è un momento essenziale della vita formativa di un giovane. Lo stare vicini, il toccarsi gomito a gomito, il parlare fitto con l’amico/a, il tuo gruppo, aiuta e sviluppa tutti i sensi e la capacità relazionale. D’altra parte, appena finito il lockdown, li abbiamo visti sciamare e organizzarsi la vita sociale. E non erano tutti ai Murazzi o sui Navigli, anzi, forse lì c’erano quelli un po’ più “grandicelli”.

Che lezione, siamo in tema di scuola, ci dà questa buona partenza dell’anno scolastico grazie ai protagonisti veri?

La prima è che vivere la propria realtà nel territorio in cui si opera e lavora significa avere la conoscenza dei problemi, quanti mezzi a disposizione per risolverli e spesso risolverli, nonostante le difficoltà, con l’aiuto della Comunità. La seconda è che la politica è distante dal territorio e che un nefasto referendum vorrebbe ancora allontanarla di più. La terza è che fare l’insegnante e comunque lavorare nella scuola è un lavoro duro, che richiede tanta responsabilità (può dare anche tante soddisfazioni) e che bisogna lavorare per isolare  e sconfiggere le “dannose mele marce” anche con capacità di superare vecchi retaggi. La quarta è che la famiglia, che è stata distrutta dalla politica che non ha saputo cogliere i cambiamenti sociali e governarli, deve essere aiutata a ricostruire una visione fiduciaria verso il ruolo dell’insegnante oggi vituperato.

Adesso via libera ai luoghi comuni come lo Stato non ci aiuta, abbiamo Regioni disastrate e via dicendo ma siccome non siamo in un talk show lasciatemi chiudere con un po’ di retorica. Se il nostro Inno Nazionale dice: “stringiamci a coorte, siam pronti alla morte” senza necessariamente dare la vita però oggi stringiamoci attorno agli insegnanti, a tutti coloro che lavorano nella scuola e per la scuola, ai nostri studenti, che sono poi i vostri figli perché potremmo avere crisi economiche, pandemie o altro ma se non funziona la scuola il nostro Paese è finito, per davvero.

Perché insegnare è un lavoro ma non è solo un lavoro, è di più. Ed è uno di quei lavori di cui il Paese ha bisogno per rilanciarlo attraverso la costruzione di una classe dirigente del futuro che passa, necessariamente per la scuola, per la professionalità e competenza dell’insegnante. Oggi investire nella scuola da parte dello Stato tutto ciò che è possibile degli oltre 200 miliardi europei è investire in una delle strutture portanti del Paese.

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