REFERENDUM

Un No contro la casta grillina

"Moltiplicano gli staff e vogliono risparmiare sulla rappresentanza dei cittadini". Il senatore forzista Malan spiega perché bisogna opporsi all'ennesima torsione della democrazia da parte di chi governa con il metodo Lukashenko

“Moltiplicano gli staff e vogliono risparmiare sulla rappresentanza dei cittadini”. Per Lucio Malan, senatore di Forza Italia e parlamentare di lungo corso, è una questione di principio: “Se passa questo allora poi potranno far passare qualunque cosa”. Il suo No al referendum del 20 e 21 settembre è categorico così come quello di buona parte del gruppo dirigente azzurro, con la copertura politica di un Silvio Berlusconi che con l’avvicinarsi delle urne si spinge sempre più in là nell’elencare una per una le sue perplessità. In Piemonte solo Alberto Cirio per il momento ha dichiarato il suo voto favorevole e ciò non ha fatto che aumentare voci e illazioni sulla sua futura collocazione politica.

Malan, parliamoci chiaro: lei è in Parlamento dal 1994, quando aveva appena 34 anni. Il suo No, come quello di tanti, sembra un modo per restare aggrappato alla poltrona…
“La verità è che ci sono migliaia di persone che volontariamente, senza nessun tornaconto personale e contro un’ondata crescente di antipolitica che fanno campagna per il No. Liliana Segre il suo posto di senatrice a vita ce l’ha assicurato eppure è contraria per non parlare di Guido Crosetto, l’unico uomo in Italia che al Parlamento ha rinunciato di sua volontà, che non approva questa riforma. Insomma, mi sembra un’accusa un po’ infantile”.

Cos’è che vi spaventa tanto allora di questa riduzione dei parlamentari?
“Si tratta di una riforma che ridurrà la rappresentatività dei territori, delle idee. La seconda cosa sicura è che i risparmi sono nulli. L’eventuale taglio è una cifra insignificante, lo 0,06 per cento del budget statale, e che per giunta andrebbe poi gestito dal Parlamento. Quanto al miglior funzionamento del parlamento, ad esempio, tanto evocato, non si capisce davvero perché con meno deputati e senatori dovrebbe funzionare meglio. La verità è che oggi c’è un problema diverso e opposto, cioè che si discute troppo poco. Pensiamo alle due ultime leggi di bilancio – di fondamentale importanza – discusse in sole 30 ore”.

Teme di darla vinta ai Cinquestelle?
“Il problema è che questa potrebbe essere la prima picconata e poi potrebbero arrivarne altre. È un partito che sostiene la superiorità della democrazia diretta ed è una cosa che abbiamo già visto con la piattaforma Rousseau, dove il risultato lo stabilisce chi gestisce, appunto, quello strumento. Si pensi solo all’elezione di Luigi Di Maio a capo politico, quando in poche ore lo candidarono contro due sconosciuti e gli consentirono il plebiscito in rete. Questo è il modello Lukashenko”.

Addirittura?
“In fondo le loro amicizie in politica estera parlano chiaro: non hanno mai nascosto i loro rapporti con la dittatura cinese o con quella venezuelana. Esempi che poi mettono in pratica come hanno dimostrato durante la pandemia, gestita a colpi di dpcm col Parlamento silente”.

Insomma, loro teorizzano la democrazia diretta e lei addirittura paventa un deficit di democrazia. Che si acuirebbe ulteriormente con il successo del Sì?
“In questi anni il M5s avrebbe dovuto dare esempi di trasparenza e sono stati i più opachi di tutti, dovevano rimettere al centro il Parlamento mentre il premier ha fatto passare pure le modifiche al codice della strada a colpi di fiducia. Dicevano che avrebbero ridotto le spese della politica e invece hanno moltiplicato i loro staff. Me lo faccia dire: sono loro la vera casta”. 

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