EMERGENZA SANITARIA

Sanitari no vax sospesi, reparti a rischio chiusura

Quando tutti i circa 3mila dipendenti non vaccinati saranno lasciati a casa alcuni servizi potrebbero essere ridotti o sospesi. Solo alla Città della Salute sono oltre 700. Le Regioni chiedono a Speranza linee guida per affrontare in maniera omogenea la situazione

La bomba dei sanitari no vax è pronta ad esplodere. Quando tutti i tremila dipendenti del servizio sanitario ragionale, tra medici, infermieri e oss saranno lasciati a casa come prevede la legge, le preoccupate avvisaglie già manifestate in questi giorni dai direttori generali delle aziende sanitarie e ospedaliere si tramuteranno in una nuova emergenza.

Gli scenari che si verificheranno negli ospedali, ma anche sul territorio, richiesti ad ogni direttore generale di Asl e Aso non sono ancora arrivati in corso Regina Margherita, ma le anticipazioni fanno dire all’assessore Luigi Icardi che “non c’è una sola provincia che può dirsi tranquilla e senza conseguenze” di fronte a quei buchi negli organigrammi provocati dall’applicazione della legge, ovvero dai provvedimenti di sospensione che, va ricordato, sono volti a garantire la maggior sicurezza alle persone più fragili quali sono i pazienti. 

Certo i circa settecento dipendenti della Città della Salute di Torino che ancora non si sono vaccinati e difficilmente, salvo alcuni casi, lo faranno sono numeri da far tremare le vene dei polsi a chi ha il compito di dirigere una della più grandi strutture ospedaliere del Paese e deve trovare il modo di tamponare al meglio possibile una decurtazione del personale al momento solo incominciata.

Fatte le debite proporzioni anche la sola sospensione dal servizio di un anestesista in un ospedale di medio-piccole dimensioni in provincia diventa un grosso problema. Così come inevitabile risulta la decisione, già assunta in alcune Asl, di destinare infermieri attualmente in servizio negli hub vaccinali a reparti lasciati sguarniti dalla decisione di alcuni loro colleghi di non rispettare la legge rifiutando la vaccinazione obbligatoria. Certo, anche in questo caso come già per il sovraffllamento delle corsie, la stuazione più critica si registra a Torino.

Ma cosa succederà e come dovranno agire i vertici delle aziende sanitarie e ospedaliere nel caso in cui i rincalzi non basteranno o, come già succede per alcuni reparti, non si troveranno neppure attingendo alle graduatorie, alle cooperative o financo a contratti di consulenza con professionisti pure già in pensione?

La questione non riguarda solo il Piemonte, anche se proprio da qui è partita la proposta in Conferenza delle Regioni di porre il problema al ministro della Salute. Proposta che ieri si è sostanziata in un documento approvato all’unanimità in commissione Salute che oggi il presidente Massimiliano Fedriga sottoporrà ai governatori. L’esito favorevole è scontato, idem l’immediato invio della richiesta al ministro di “linee guida sule misure da adottare qualora in seguito al trasferimento o alla sospensione degli operatori sanitari non in regola con l’obbligo vaccinale, si dovesse verificare una carenza di personale tale da pregiudicare la regolare erogazione delle prestazioni sanitarie, a partire dalle prestazioni essenziali per l’effettuazione di interventi e di terapie salvavita”.

Icardi lo aveva anticipato già nei giorni scorsi, sottolineando quel vuoto lasciato nella norma che “giustamente prevede il cambio di mansioni o la sospensione per chi non rispetta la legge rifiutando la vaccinazione, ma non ha preso in considerazione le conseguenze, lasciando ogni azienda sanitaria di fronte a scelte e decisioni che, invece, devono avere precise indicazioni”.

Più di un direttore generale, in effetti, conferma la complicata situazione data dal trovarsi tra l’obbligo di dover applicare la legge sospendendo il dipendente no vax (quando non sia possibile un cambio di mansioni, che comunque lascia scoperto il ruolo) e la necessità di assicurare un servizio spesso di vitale importanza, con il rischio in entrambi i casi di incorrere in conseguenze giudiziarie nel caso di inosservanza. 

Un aspetto che le Regioni nella lettera a Speranza sottolineano, chiedendo al Governo “garanzie funzionali per eventuali ipotesi di responsabilità derivanti dalle condizioni” in cui potrebbero venirsi a trovare i vertici delle aziende sanitarie. Una sorta di manleva per i direttori generali che se è giustificata da una situazione di oggettiva difficoltà, certo non risolve il problema destinato a manifestarsi in tutta la sua gravità nel giro di qualche settimana. È pur vero che i nominativi dei dipendenti no vax vengono segnalati molto a rilento da parte delle Asl di residenza ai datori di lavoro, tanto da alimentare il sospetto che si voglia spostare il più possibile in avanti il grosso del problema, ma i nodi arriveranno presto al pettine. 

“Il ministero potrebbe accogliere le nostre richieste di autorizzare l’utilizzo dei colleghi agli ultimi due anni di specializzazione anche negli ospedali non collegati all’Università”, dice Chiara Rivetti, segretario regionale del sindacato dei medici ospedalieri Anaao-Assomed, che mette sul tavolo anche “la prosecuzione dei contratti Covid che hanno portato in questo anno e mezzo di pandemia nelle strutture ospedalieri medici, oggi altrettanto utili per colmare i vuoti lasciati dalle sospensioni di chi non si è vaccinato”. E che, sia medico, infermiere oppure oss, non di rado ha pure fatto proseliti. Come attestano le informazioni che dalle Asl arrivano in assessorato si assiste a sacche, più o meno grandi, di sanitari contrari al vaccino concentrate in alcuni reparti che proprio per questo presentano rischi maggiori per la loro piena funzionalità. Tutto questo mentre se la sostituzione di un oss è, tutto sommato meno difficile vista la possibilità di reperire questa professionalità sul mercato o la minore difficoltà a sostituire l’oss no vax con un collega, la questione si complica molto per gli infermieri e i medici, specie per alcuni reparti che sono proprio quelli per le patologie più gravi e complesse.

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