VERSO IL VOTO

Ora a tremare sono i renziani del Pd

Da Lotti a Marcucci, gli ex fedelissimi del leader di Italia Viva rischiano di perdere lo scranno. Letta non vuole serpi in seno e si appresta a premiare un drappello di fedelissimi oltre a qualche uscente. Panico tra i seguaci di Di Maio. E pure Casini è messo male

Gli stati d’animo impressi nei volti dei parlamentari che si aggirano tra i meandri del Palazzo negli ultimi giorni di legislatura sono molteplici. Ansia, preoccupazione e malinconia. Tutti sentimenti simili a quelli degli studenti all’ultimo anno che attendono frementi di sapere se saranno ammessi all’esame di maturità. Così i parlamentari uscenti dei singoli partiti aspettano un cenno del loro segretario o del loro capocorrente per capire se potranno sperare di tornare a sedere sui loro scranni. Se da un lato, infatti, c’è chi, come Pier Luigi Bersani, ha scelto di non ripresentarsi, dall’altro c'è chi ha ancora tanta passione politica nelle vene e vorrebbe continuare. “Mi piace il mio lavoro, per carità, ma ormai mi stavo dedicando ad altro e mi dispiacerebbe interrompere”, ci confida una parlamentare dem che è già alla sua seconda legislatura.

In casa M5s dopo due mandati torni a casa, mentre nel Pd il limite è tre legislature anche se tra i dem le deroghe sono concesse senza troppi problemi. Stavolta a farne le spese potrebbe essere un big come Pier Ferdinando Casini. Nulla è ancora deciso, ma un ricambio ci sarà inevitabilmente e ad essere a rischio saranno soprattutto gli ex renziani di Base Riformista che, al momento, sono la corrente più numerosa. Nel 2018, infatti, a fare le liste fu l’attuale leader di Italia Viva e molti suoi fedelissimi, come per esempio il senatore Andrea Marcucci, ora sono in bilico. “Non basta essere ricandidati. Con la riduzione del numero dei parlamentari, bisogna vedere in che posizioni si viene messi nel proporzionale oppure se si è costretti a correre in un collegio uninominale dove la sconfitta è data quasi per scontata”. In bilico anche un altro petalo di quello che un tempo era il Giglio Magico, ovvero Luca Lotti, escluso dalla rosa dei nomi che le federazioni provinciali di Firenze e Empoli (sua città natale) hanno consegnato al Nazareno. La stesura delle liste è in mano al coordinatore del Pd Marco Meloni, lettiano della prima ora, che sicuramente tornerà a sedere a Montecitorio. Un altro uomo molto influente nella scelta dei candidati è il ministro Dario Franceschini, il capo di AreaDem, la corrente con cui ha puntellato, quando non addirittura scelto, tutti gli ultimi segretari, di fatto influenzandone le decisioni e indicando loro la rotta. Con ogni probabilità, quindi, verrà ridotta (se non dimezzata) la pattuglia dei Giovani Turchi di Matteo Orfini, non sempre in linea con le scelte del segretario dem.

Contrariamente a quanto si pensi, dentro il M5s, c'è una discreta fiducia di riuscire a contenere i danni. Certo, il risultato non sarà minimamente paragonabile a quello del 2018, ma i contiani sperano di raggiungere e, forse, superare il 10%. “Puntiamo tutto sul proporzionale. Ai collegi uninominali nemmeno ci pensiamo”  dicono. E in effetti tolta qualche roccaforte nel Sud, difficilmente riusciranno a vincere qualche testa a testa a meno di un imponderabile exploit. Dove c’è maggiore preoccupazione è tra i seguaci di Luigi Di Maio, letteralmente ossessionati dal fatidico 3% che la lista Impegno Civico dovrebbe ottenere per consentire l’elezione dei candidati nei listini del proporzionale. I nuovi accordi, siglati dopo la rottura del patto tra Letta e Calenda, attribuiscono ai seguaci del ministro degli Esteri anche l’8% dei collegi uninominali, ma in questo il candidato andrebbe incontro a una sconfitta quasi certa. La simulazione dell’Istituto Cattaneo parla chiaro: senza il sostegno di Azione, quasi tutti gli uninominali sono destinati al centrodestra. Ai dimaiani, dunque, potrebbe non essere stato sufficiente abbandonare il M5s per ottenere il terzo mandato, visto e considerato che il numero uno della Farnesina pare si stia spendendo solo per i fedelissimi Vincenzo Spadafora, Laura Castelli e Manlio Di Stefano.

Tra le liste di Italia Viva nel Terzo Polo compariranno quasi tutti i 50 parlamentari che hanno seguito Matteo Renzi nella sua avventura, ma alcuni di loro hanno già la consapevolezza che essere candidati “può voler dire portare acqua al mulino di quelli che sicuramente verranno eletti”. L’accordo con Azione, però, dà maggiori speranze non solo di raggiungere il 5%, ma anche di superarlo abbondantemente. Renzi, la Boschi e una pur piccola pattuglia di renziani, stando ai sondaggi, dovrebbe rivedere il Transatlantico o l’Aula di Palazzo Madama. Alcuni parlamentari ex grillini, oggi presenti nel gruppo di Alternativa, hanno già volontariamente scelto di tornare a essere comuni cittadini perché, per loro, (così come per Italexit) è già complicato raccogliere le firme, figuriamoci essere eletti... “Non ci provo nemmeno, basta. Ho già dato”, ci hanno detto.

Sul versante del centrodestra sono a rischio di non essere ricandidati i leghisti Simone Pillon, Giuseppe Basini e Barbara Saltamartini. Il fondatore del Carroccio, Umberto Bossi, invece, vorrebbe terminare la sua carriera politica, ma Matteo Salvini sta facendo di tutto per convincerlo a fare un altro giro: uno specchietto per le allodole utile a tenere buono l'inquieto elettorato del Nord che non ha mai completamente digerito la svolta sovranista del Capitano e che è rimasto fedele alle battaglie federaliste del vecchio Senatur. E se Fratelli d’Italia ha problemi di “abbondanza”, Forza Italia è conscia che il suo risultato, bene che vada, sarà tra il 7 e il 10%. La maggior parte dei parlamentari uscenti è fiduciosa che otterrà, quantomeno, la ricandidatura anche perché molti posti sono stati lasciati liberi dai fuoriusciti che, in questi anni, hanno lasciato il partito. Nel caso dei forzisti, però, la certezza di una rielezione è data dalla possibilità di essere candidati in un collegio più o meno blindato. La nuova legge elettorale, infatti, complice anche il taglio dei parlamentari, determinerà per il proporzionale (su cui non si possono esprimere preferenze) al massimo l’elezione dei primi due candidati in lista. Mai come stavolta il ritorno nelle Aule di Camera e Senato sarà frutto di una serie di fattori imponderabili tra loro. Ad oggi, nessun seggio è realmente sicuro.

print_icon