In sintonia col Paese reale

La maggioranza degli italiani ha bocciato la riforma Renzi-Boschi. “La più sorprendente rimonta della storia” di cui aveva parlato il premier non si è verificata. L’esito del referendum conferma che è stato un errore spaccare il Paese non su una legge qualsiasi ma sulla Costituzione; che è stato un errore trasformare il referendum sulla riforma della Costituzione in una consultazione referendaria e in un plebiscito a favore o contro Renzi; che è stato un errore aver creato un clima da rodeo dal quale il presidente del Consiglio avrebbe dovuto tenersi a debita distanza e che invece ha fomentato; che è stato un errore aver tradito l’impegno sancito nel proprio atto fondativo a non approvare a maggioranza le modifiche alle Costituzione; che è stato un errore aver fatto una cosi brutta riforma della Carta Fondamentale, insieme con una pessima legge elettorale e, infine, che è stato un errore affermare una idea di partito che si fondava su una leadership personale ed esclusiva che ha negato il valore della ricerca, faticosa ma essenziale, della sintesi unitaria e che ha finito per essere identificata con l’establishment: dai Marchionne alla finanza.

La bocciatura nasce da questa sequenza incredibile di errori, oltre che da un giudizio critico nei confronti di Renzi e dal suo governo; giudizio che il premier stesso aveva sollecitato modificando i termini della consultazione. Solo colpa di Renzi? No, sarebbe troppo comodo. Le responsabilità sono anche di coloro che non hanno fatto nulla per impedire che prevalesse una tale impostazione consentendo che fossero altri (la destra e il M5s) ad appropriarsi della bandiera della difesa o di una riforma condivisa della Costituzione. In questi lunghi e interminabili mesi di campagna elettorale chi, dentro e fuori il Pd, si era permesso di ricordare che non si modificano 43 articoli della Costituzione  a maggioranza  e che su questa linea si sarebbe andati a sbattere è stato preso a male parole e accusato di essere ostile al cambiamento.

E quindi auspicabile che ci si interroghi sulle ragioni della sconfitta e che ci si adoperi per rimettersi in sintonia con il Paese reale operando le necessarie e radicali correzioni di rotta, anziché minimizzare la portata di alcuni segnali come era avvenuto all’indomani del voto amministrativo o attribuire colpe e responsabilità ad altri. Il Pd continua a disporre di una maggioranza in Parlamento ha il dovere di assicurare un governo al Paese per mettere mano alla legge elettorale, su cui pende il giudizio della Consulta e completare l’iter della legge di bilancio. L’esito del referendum dimostra altresì che non è bastato il presenzialismo ossessivo del premier, occupare la tv pubblica, aver spostato la data del referendum il più in là possibile, aver predisposto una legge di bilancio ricca di promesse e di mance per carpire il voto di qualche elettore sprovveduto, aver avuto dalla propria parte alcuni autorevoli “opinion leader”, aver agitato lo spauracchio del salto nel buio, aver inondato il Paese di manifesti e di materiale di propaganda e potuto contare su risorse finanziarie immense, cosi come non hanno avuto alcun peso gli endorsement di alcuni leader europei, da Juncker al Ministro delle Finanze tedesco, con i quali il premier aveva polemizzato aspramente fino a qualche giorno fa.

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