Caro Piero, il Pd ha già perso

Gli argomenti che Piero Fassino utilizza in un’intervista per opporsi alla rottura che si è consumata nel Pd finiscono in realtà per spiegarla e giustificarla. L’ex sindaco di Torino dichiara che la scissione offrirà a Grillo e alla destra la possibilità di vincere le prossime amministrative. Fassino ragiona come se il Pd non avesse già perso per strada milioni di voti e alcune decine di migliaia di iscritti. Come se il Pd non fosse stato sconfitto alle amministrative e al referendum costituzionale che si è trasformato in un plebiscito contro il premier e il suo governo.

Questo distacco tra il Pd e una parte del suo elettorato si è consumato in questi anni e cioè molto prima che precipitassero la discussione e lo scontro dentro il Pd, senza che nessuno si preoccupasse di capirne le ragioni e di operare una qualche correzione di linea. Ne credo abbia molto senso continuare a fare riferimento al 40% di voti ottenuti alle Europee, perché nel frattempo la situazione è cambiata radicalmente.

La stessa cosa è successa all’interno del Pd con la perdita di decine di migliaia di iscritti, senza che il loro abbandono sia stato compensato da nuovi arrivi. Il Pd era nato “per unire l’Italia e gli italiani” e “per superare i partiti del Novecento”, ma il Paese non è mai stato cosi diviso come in questi ultimi anni, mentre nel Pd ritroviamo i vizi peggiori dei partiti della Prima Repubblica a partire dalla proliferazione delle correnti. Ciascun leader ha la sua.

Non mi è chiaro per quale ragione questi elettori, che si sono sentiti traditi, dovrebbero tornare a votare per il Pd in assenza di un cambiamento di leadership e linea politica. Sono anzi convinto del contrario. Grillo e la destra vinceranno per questo.

Fassino è convinto che le scelte compiute su lavoro, fisco, scuola, legge elettorale e riforma costituzionale, fossero giuste e che l’opposizione a tali “riforme” sia stata il frutto di resistenze corporative e di rendite di posizione. Io non credo che sia cosi e che questi differenti giudizi, su questioni che caratterizzano l’identità stessa di una forza di sinistra, siano difficilmente componibili.

Infine, resto dell’opinione che un segretario debba unire e non dividere la comunità che è stato chiamato a dirigere. Fassino, Bersani, Franceschini, Epifani e molti altri lo avevano fatto. Renzi no. Toccava al segretario (e a coloro che lo sostengono) creare le condizioni affinché tutti si sentissero a casa loro, svelenire il clima, non umiliare chi la pensava diversamente e cogliere ciò che di giusto e di positivo vi era nella posizione dei propri interlocutori, ricercando una sintesi unitaria più avanzata. Fassino quand’era segretario lo ha fatto. Anche per questo rimango stupito di fronte al fatto egli abbia omesso di richiamare le responsabilità di Renzi.

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