Csi, prima i lavoratori

La cosiddetta Trasformazione Digitale (Digital Transformation), è tema oggi ormai ampiamente centrale, proprio per gli impatti dirompenti che le tecnologie, i big data e gli open data, le piattaforme innovative stanno determinando sulle modalità organizzative e i modelli di business delle imprese.
Lo sviluppo di nuove tecnologie, oltre ad incidere sugli stili di vita, modifica i modelli organizzativi del lavoro, richiedendo di fatto l’introduzione di nuove competenze, di nuove professionalità e specializzazioni.

Questa necessità è evidente anche per ciò che attiene le stesse pubbliche amministrazioni. Basti in tal senso pensare al Responsabile della protezione dei dati (Data Protection Officer), figura da introdurre obbligatoriamente anche per gli enti pubblici entro il 25 maggio 2018, come da relativo regolamento europeo sulla protezione dei dati (Regolamento 2016/679/UE).
Le stesse Linee Guida Nazionali per la Valorizzazione del Patrimonio Informativo Pubblico dell’Agid indicano come necessaria la revisione dei processi e dei modelli dei sistemi informativi delle pubbliche amministrazioni, individuando come primo passo da compiere quello di definire una chiara “governance interna con professionalità strategiche e specifiche”. E lo stesso nuovo Codice dell’Amministrazione Digitale imprime un forte impulso alla piena digitalizzazione della PA, intervenendo su identità digitale, documenti informatici, pagamenti online e processo telematico.

Mentre tutto sembra indicare un evidente e chiaro orizzonte di sviluppo, l’atteggiamento che si sta invece tenendo rispetto al CSI mostra tutta l’incapacità di cogliere le opportunità del presente, oltre a denotare una scarsissima capacità di gestione e di visione.

Innanzitutto durante gli scorsi anni gli affidamenti da parte dei Soci sono stati caratterizzati da una costante diminuzione: il fatturato è passato dai 157,7 milioni di euro del 2012 ai 124,4 milioni del 2016. Inoltre nel recente rinnovo della convenzione per l’appalto del sistema informativo del Comune di Torino, oltre a tagliare ulteriormente le risorse, non si tiene minimamente conto di quell’insieme di progetti che proprio il Consorzio potrà realizzare all’interno del PON METRO per conto della stessa Amministrazione. Si tratta di un periodo che andrà ben oltre la prevista data di scadenza della convenzione del 31 dicembre 2017, un orizzonte temporale talmente limitato che rischia di mettere a repentaglio anche questi finanziamenti: dai 136 milioni di euro del 2018 e agli oltre 132 milioni del 2019 per realizzare quanto previsto dall'Agenda Digitale e dal Programma Operativo Nazionale PON Città Metropolitane.

Ma ancora più grave è la totale disattenzione nei confronti dei lavoratori, di cui non si valorizzano mai le competenze, facendo invece ricadere completamente su di loro gli effetti di scelte e strategie sbagliate. E questo nonostante l’offerta di servizi del CSI sia considerata un valore da molte Amministrazioni italiane che, non a caso chiedono il riuso dei servizi realizzati: la Regione Piemonte è ancora la prima regione per intensità dei riusi verso altre amministrazioni. Per contro il concreto interesse manifestato da alcune aziende private dimostra invece come il CSI sia attrattivo, con potenzialità tutte ancora da esprimere. Le valutazioni espresse in merito dall’ANAC non sono da intendersi, come si sta invece cercando di far credere, un completo diniego al rapporto pubblico-privato, certamente non ancora maturo nelle soluzioni fin qui adottate, ma che può ancora rappresentare l’opportunità per rilanciare il CSI, anche rivalutandone e reindirizzandone correttamente le funzioni.

Ogni soluzione che si intenderà adottare non potrà però non tenere conto di un pieno coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni di impresa, ascoltando davvero la loro voce e le loro proposte, dando seriamente spazio a quella spinta e quell’innovazione necessaria, che molti raccontano ma che solamente quelli che operano nella quotidianità sanno realizzare.

Il futuro del CSI è nelle persone che ci lavorano.

*Enzo Lavolta, vice presidente del Consiglio Comunale di Torino

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