L’indignazione manipolata

Risulta totalmente inutile e un po’ ipocrita, scandalizzarsi per i 30 milioni di liquidazione di Flavio Cattaneo per i 16 mesi da Amministratore delegato di Telecom Italia (62 mila euro al giorno), o fare battute sulla brava Sabrina Ferilli. Se questo è il sistema chi fa il manager si “tutela” per tempo. Nel 2015 la media degli stipendi dei primi 10 dirigenti d’azienda italiani (al netto di liquidazioni, stock option e bonus) è stato superiore a 13 milioni di euro e occorrono oltre 8 anni di lavoro di un lavoratore medio per guadagnare ciò che i 10 top manager incassano in una settimana (R. Prodi, 'Il piano inclinato' - Il Mulino, 2017). Ma nessuno risulta si sia sorpreso o abbia protestato. Differenze di questo tipo e maggiori, sono diventate abituali e non costituiscono più sorpresa né provocano alcun giudizio negativo. Se mai ci si indigna per i “costi insopportabili” della cassa integrazione, o degli ammortizzatori sociali per le persone che perdono il lavoro, che, infatti, sono stati drasticamente tagliati.

Sono le logiche applicazioni delle teorie liberiste e i risultati del capitalismo finanziario che hanno saputo abilmente indirizzare l’indignazione popolare verso la politica e le pratiche democratiche: stop al finanziamento pubblico dei partiti e all'indice le remunerazioni del ceto politico, per continuare ad accrescere le diseguaglianze.

Nel mondo gli 8 uomini più ricchi posseggono 426 miliardi di dollari, la stessa ricchezza della metà più povera del pianeta, ossia 3,6 miliardi di persone; ed è dal 2015 che l’1% più ricco dell'umanità possiede il 99%. L’Italia non fa eccezione e, dati del 2016, l’1% più facoltoso ha nelle mani il 25% della ricchezza nazionale netta. Mentre i salari di operai, impiegati, insegnanti sono calati in termini reali e la precarietà è diventata un obbligo ci si è abituati a considerare inevitabile una diminuzione del welfare state, dal settore della sanità a quello della scuola, dagli interventi contro la disoccupazione giovanile a quelli sulle pensioni.

Nel frattempo tutti concordi nel votare in Parlamento il pareggio di bilancio, le politiche di austerity, lo stravolgimento dello Statuto dei Diritti dei lavoratori, consentendo i licenziamenti senza giusta causa e giustificato motivo, ma impegnati nell’eliminazione delle Province, con lo straordinario obiettivo di risparmiare i “2 mila euro al mese” del costo degli Assessori (e oggi, naturalmente, lamentarsi delle buche sulle strade). O pretendere di battere i populismi cercando di imitarne le gesta, come cerca di fare il buon On. Richetti (Pd). Non sapendo che dei populismi l'attuale capitalismo e la finanziarizzazione dell’economia se ne fanno un baffo. Perché sanno come domarli in quanto fanno parte del medesimo sistema. Per dirla con Marco Revelli: “populismo, malattia senile della democrazia”, quando la politica non sembra più in grado di dare risposte (Populismo 2.0 - Einaudi 2017).

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